Crescita digitale
Mai come oggi lo sviluppo delle tecnologie esponenziali, l’utilizzo della rete e dei dispositivi mobile hanno portato cambiamenti radicali nelle nostre vite e nelle aziende. Di fatto sta cambiando tutto: il modo di intendere il lavoro, di progettare, di produrre, di comunicare, vendere, etc…
Non si tratta più solo di crescita e benessere, ma di evoluzione e di trasformazione dello scenario. Se da un lato la tecnologia è utile e straordinaria per migliorare la nostra vita, dall’altro c’è il rischio che possa comportare dei rischi di estrema dipendenza.
Il punto di partenza, di una serie di riflessioni sul tema, nasce da una domanda semplice ma fondamentale:
Come possiamo restare “umani” in un mondo sempre più tecnologico?
La risposta non è sicuramente scontata e vediamo perché ricorrendo al concetto di Umanesimo Digitale.
Umanesimo Digitale
È opinione comune che la tecnologia digitale, pur avendo avuto un impatto profondamente positivo sulla società, sia stata comunque fonte di complicazioni nella nostra vita moderna. Le difficoltà sono sorte perché l’uomo, “animale ultra-sociale” per antonomasiam si è trovato faccia a faccia con la “tecnologia” che, oltre a non essere affatto sociale, presuppone anche una quasi totale assenza di interazione umana.
Dall’introduzione dei moderni smartphone nel 2007 e poi dei tablet nel 2010, ci siamo trovati a cambiare radicalmente il nostro modello di relazione sociale. Capita spesso di vedere adulti assenti, che non interagiscono con altre persone perché presi dai loro telefonini, oppure bambini che non dialogano con i loro genitori in quanto impegnati con i dispositivi mobili.
Recenti studi evidenziano come un numero crescente di adolescenti stia arrivando a trascorrere fino a 9 ore al giorno su tali device; se si considerano 7-8 ore di sonno, questi numeri vanno a evidenziare come la tecnologia sia entrata nelle attività quotidiane di tutti noi, lasciando ben poco tempo per le nostre interazioni con il prossimo.
Analizzando il fenomeno con occhio più attento, quello che si evince è che il problema non sia semplicemente riconducibile all’avvento di una nuova tecnologia. Per generazioni siamo cresciuti in mezzo a nuove invenzioni, come la radio e televisione, e da sempre ci siamo preoccupati di quale fosse il prezzo da pagare in termini di limitazione al nostro “essere umani”. Quello che è straordinariamente diverso oggi, rispetto a ieri, è la velocità di diffusione di questi dispositivi e la loro invasività, che fa presagire una drammatica riduzione delle opportunità di interazione sociale.
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Il rischio che si corre è quello di perdere e limitare le grandiose potenzialità della mente umana, che è un universo affascinante e straordinario. Tanto più la si sovraccarica con emozioni e stimoli di diversa gradazione (gioia, tristezza, desiderio, rimpianto, rabbia, etc.) tanto più essa restituisce sensibilità e percezioni acuite. Vivere e abbracciare con pienezza tutte le situazioni che la vita ci presenta, senza mettere il filtro della razionalità nel tentativo di ristabilire un ordine, ci porta a essere profondamente ricettivi nei confronti di tutto ciò che si vive, si legge, si analizza.
Tutto è ordine fisico
La seconda rivoluzione digitale affonda le sue radici nella diffusione esponenziale delle nuove tecnologie, realtà facilissime da raccontare ma con cui è difficile poi confrontarsi, soprattutto quando si è figli dell’universo analogico. Ne consegue che vi sia in atto un cambiamento di tipo culturale e che a venir messo in discussione sia proprio il mondo analogico.
Quest’ultimo è il mondo in cui si lavora, si gioca, si vive; una realtà fatta di pensieri, relazioni, ragionamenti, similitudini tra modelli e altro ancora. Nel modo digitale tutto risulta essere riconducibile a un numero o, per meglio dire, a serie diverse di numeri binari “0 e 1” che rendono il mondo che conosciamo decodificabile attraverso un algoritmo, facilmente assimilabile a un’informazione; l’informazione seppur apparentemente non fisica, eterea e immateriale s’incarna sempre in un’entità fisica.
L’informazione, scrive Cesar Hidalgo (giovane fisico cileno), è una caratteristica fondamentale della natura, più antica della vita stessa. Pensate alla replicazione di molecole ricche di informazione come il DNA e l’RNA: ad essere riprodotta non è la materia, ma l’informazione che vi è racchiusa.
Se ne deduce, quindi, che l’informazione è intrinseca a tutto ciò che è creato.
Macchine, case, vestiti, oggetti di ogni genere, sono tutti fatti d’informazione e non perché nascono da un’idea ma perché incarnano un ordine fisico. Ad esempio, gli oggetti che fanno parte della vita quotidiana, sono contenitori di una grossa mole d’informazioni che è andata accumulandosi attraverso le generazioni e che ci ha permesso di plasmare la materia in modo che potesse rispondere minuziosamente ai nostri bisogni, alla nostra estetica, alle nostre visioni del mondo.
Le conoscenze e il know-how necessari per plasmare la materia e ottenere anche i più semplici oggetti sono spesso così articolati e complessi da trascendere le capacità di un singolo individuo.
Proviamo a chiarirlo con un esempio: in questo momento solo pochi di noi sarebbero in grado di produrre un oggetto complesso, come una testata di un motore a scoppio, basandosi sulle proprie conoscenze; oggi tutto questo è invece possibile attraverso la tecnologia: con una semplice stampante 3D ed un software di modellazione, è possibile produrre oggetti più o meno complessi, pregni di informazioni assemblate nel corso degli anni.
Possiamo dunque asserire che l’informazione è il modo in cui si organizza la materia ed è prima di ogni cosa ordine fisico e poi significato.
Mai come in questo momento è chiaro che l‘ordine fisico non è altro che il “nuovo ordine” delle cose, che non prevede la supremazia della macchina/tecnologia sull’uomo, né tanto meno la dittatura dell’uomo sulla macchina stessa.
Il nuovo ordine delle cose prevede la collaborazione tra uomo e macchina in un rapporto 1:1. Ne è un esempio la robotica collaborativa, ovvero una nuova modalità di impiego dei robot industriali, che prevede la collaborazione stretta tra uomo e robot nel processo produttivo. I robot collaborativi, conosciuti anche come “cobots”, sono strumenti pensati per interagire con le persone all’interno dell’azienda così da svincolarle nello svolgimento di attività pericolose, gravose e ripetitive.
Valorizzare le potenzialità umane nel rapporto con le macchine
La capacità dell’uomo di trasformare l’immaginazione in realtà e plasmare l’ambiente per rispondere alla necessità di adattamento, rende possibile la conservazione delle differenze individuali favorevoli e la distruzione di quelle negative, portando a una forma di “selezione naturale” o “sopravvivenza del più adatto”.
Alla luce di questa nuova selezione della specie, il nuovo ordine delle cose vedrà la “fusione” tra uomo e macchina espletata sotto forma di lavoro sinergico: la macchina elaborerà i dati in tempo reale per consentire all’uomo di ADATTARSI al contesto. La gestione dei dati e delle informazioni permetterà all’uomo di ottenere una visione fluida e immediatamente modificabile della realtà, in modo tale da poter scegliere ogni volta la soluzione più performante.
Da questa collaborazione simbiotica è già nata la rivoluzione industriale in corso, meglio conosciuta come “INDUSTRY 4.0” che ha il suo fulcro proprio nel processo di adattabilità.
Le informazioni generate nel mondo digitale sono dunque complesse e difficilmente replicabili dall’uomo senza l’ausilio della tecnologia. Gli oggetti che fanno parte della nostra vita sono intrisi di informazioni frutto di secoli di errori e di studi, che non sapremmo neanche riprodurre se non avessimo a disposizione sistemi di elaborazione.
Quanta più informazione è contenuta nel prodotto, maggiore è il suo valore e la sua capacità innovativa e quindi maggiore dovrà essere la capacità computazionale di analisi dell’informazione. Nel nuovo ordine delle cose la creatività umana, unita alla potenza computazionale della macchina, daranno vita a informazioni sempre più complesse, fatte di materia ed energia altamente organizzate.
Materia ed energia che ci riportano immediatamente all’idea di dinamismo, concetto chiave nell’umanesimo rinascimentale e punto di partenza per l’umanesimo digitale.
L’umanesimo digitale è destinato quindi a riproporre, con una nuova chiave di lettura e dei nuovi soggetti principali, quanto già accaduto nel XV secolo, nel tentativo di riportare l’uomo al centro del mondo, utilizzando la tecnologia per aiutarlo a esprimere tutto il suo potenziale attraverso la creazione di un “DIGITAL-IO”.
La previsione per un futuro ormai prossimo vede lo svilupparsi di un nuovo mindset in grado di facilitare il raggiungimento di traguardi ad oggi impensabili e la definizione di modalità alternative con cui gli obiettivi possono essere raggiunti, il tutto supportato da una tecnologia performante e al servizio dell’uomo.