«Nella società italiana, dove l’età media è in costante aumento, l’infermiere di famiglia rappresenta una figura insostituibile e di cruciale importanza, in quanto riveste un ruolo chiave nella sanità del futuro, soprattutto per quanto riguarda le cronicità e la qualità della vita della comunità tutta».
Esordisce così Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up (Sindacato Infermieri Italiani).
«Ne era stata già prevista l’introduzione al livello nazionale tramite il Patto per la Salute che prevedeva questa figura accanto ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta, agli specialisti ambulatoriali e ai farmacisti. Un primo passo, timido ma fondamentale, è rappresentato dalla norma del DL rilancio che autorizza nuove assunzioni di infermieri. Parliamo di timido passo perché il Governo avrebbe dovuto avere il coraggio non solo di stanziare le risorse necessarie per gli stipendi di circa 9.600 infermieri, ma soprattutto perché avrebbe dovuto delineare, ma non lo ha fatto, una cornice generale e omogenea di livello nazionale, entro la quale strutturare il nuovo e innovativo servizio reso dall’infermiere di famiglia, che finalmente risponderebbe al sacrosanto diritto dei cittadini di beneficiare di tale tipologia di assistenza al pari di quanto già accade per il medico di medicina generale» continua De Palma.
«Eppure, nonostante gli strombazzi dell’ultima ora, nel testo del DL non si legge nulla di tutto questo. Il provvedimento si presenta inspiegabilmente laconico; infatti, da una parte sembrerebbe seguire un percorso costruttivo, come si legge testualmente:
“Al fine di rafforzare i servizi infermieristici, con l’introduzione altresì dell’infermiere di famiglia o di comunità…”
«Dall’altra ne prevede esplicitamente l’impiego per il potenziamento di segmenti specifici, come ad esempio la presa in carico sul territorio dei soggetti infettati da SARS-CoV-2 identificati COVID-19, oppure come “supporto” alle Unità speciali di continuità assistenziale e ai servizi offerti dalle cure primarie, nonché l’assistenza domiciliare.
Una miscellanea, insomma, con una serie di attività che, prese singolarmente, possono essere certamente di competenza di tale operatore, ma che ciò nonostante rappresentano solo una parte del suo complesso panorama di riferimento, delle sue enormi potenzialità.
Se le premesse sono queste, non ci si illuda di poter avere a disposizione, a breve, un vero e proprio infermiere di famiglia, e mi pare strano che ancora nessuno se ne sia accorto» sbotta il numero uno del Nursing Up.
«Per il nostro sindacato, ma anche secondo il pensiero della parte più consistente della comunità professionale internazionale, “l’assistenza infermieristica di famiglia/comunità” può considerarsi tale quando è finalizzata a garantire “una presa in carico completa e integrata delle persone“. Un’evoluzione che il sindacato degli infermieri chiede da lungo tempo, finalizzata alla copertura dell’incremento dei bisogni di continuità dell’assistenza e di aderenza terapeutica, in particolare per i soggetti più fragili, affetti da multi-morbilità.
Se leggiamo le norme appena approvate – prosegue De Palma – sorge il dubbio che le assunzioni di infermieri siano, nei fatti, destinate più che altro a garantire la funzionalità di servizi che già esistono, come quelli di assistenza domiciliare. Infatti, il comma 4) dello stesso DL Rilancio, trattando la materia richiama esplicitamente l’assistenza domiciliare e l’autonomia regionale in materia di organizzazione dei servizi domiciliari» continua il Presidente.
«Certo è che, se così fosse, si profilerebbe un serio rischio per il cittadino: l’infermiere di famiglia potrebbe non arrivare così a breve come si dice, sostituito da una maggiore disponibilità di unità infermieristiche da utilizzare per una serie di svariate esigenze e servizi “in relazione ai modelli organizzativi regionali come recita il DL. Eppure quello che noi infermieri aspettavamo, e che ci era stato più volte promesso, era un compiuto e organico “piano nazionale di organizzazione di assistenza infermieristica territoriale”, dove l’infermiere di famiglia, in coordinamento con il medico di medicina generale, avrebbe dovuto occuparsi di prendere in carico il cittadino e di seguirlo “a tutto campo”, negli ambiti di specifica competenza professionale. Ma qui, ahimè, si introduce solo un timido principio».
De Palma non ci sta e solleva l’amara verità:
«Il nostro timore – stigmatizza – è legato al fatto che questo nuovo DL consente l’assunzione di un esercito di infermieri per destinarli, pericolosamente, a confluire in una non meglio precisata “disponibilità organizzativa delle singole Regioni e delle singole aziende sanitarie locali” senza aver previsto o comunque formalizzato un progetto organizzativo univoco e di livello nazionale, nel quale incardinare quei diecimila infermieri da assumere come veri e propri infermieri di famiglia.
Insomma – continua stizzito De Palma – qui si corre il rischio che le regioni assumano 9.600 infermieri che, diversamente da quanto si legge in questi giorni, non avranno un destino giuridico, operativo e contrattuale come “infermiere di famiglia”, rischiando invece di essere invece utilizzati a vario titolo nei variegati calderoni organizzativi delle numerose aziende sanitarie italiane. Sul territorio già si sente parlare di infermiere di quartiere, di infermiere di prossimità o di collegamento e chi più ne ha più ne metta.
Certo è che – prosegue tra amarezza e realismo De Palma – con una carenza strutturale di infermieri (che ormai in Italia ruota tra 53.000 e 60.000 unità) e senza un piano organico e autonomo per la strutturazione di un infermiere di famiglia che viaggi di pari passo con quello del medico di medicina generale, chi potrà alla fine impedire alle aziende sanitarie locali di utilizzare gli infermieri che si andranno ad assumere, per coprire prevalentemente le altre gravi carenze strutturali che da anni caratterizzano il sistema?.
Questo è un rischio da evitare – chiosa De Palma. – Chiediamo pertanto al Governo di integrare le decisioni contenute nel DL rilancio, delineando un perimetro generale di strutturazione e utilizzo del nuovo infermiere di famiglia, con il relativo sistema di garanzie verso il cittadino allo stesso attribuite, entrambi con riferimento a tutto il territorio nazionale. Una volta fatto questo, e nell’ambito di tali precetti quadro, le regioni e le aziende sanitarie locali potranno muoversi esercitando le proprie prerogative.
Bisogna garantire uguali diritti di assistenza infermieristica a tutta la popolazione che ne ha bisogno – ribadisce De Palma. – E bisogna anche presidiare affinché la nuova figura professionale dell’infermiere di famiglia abbia un adeguato e dignitoso riconoscimento contrattuale. Se tutto questo non sarà fatto – conclude De Palma – i nostri cittadini e l’intero sistema avranno ben poco da cantare vittoria».