Il fatto
La categoria di baristi e ristoratori è scesa in campo per avere risposte certe. Le richieste sono tante e interessato diverse tematiche. No al plexiglass, cancellazione dei tributi maturati nei mesi di chiusura delle attività e fino alla fine dell’emergenza, moratoria sugli affitti con indennizzo economico laddove non arriva lo Stato. Si chiedono finanziamenti a fondo perduto parametrati alla perdita di fatturato, prolungamento degli ammortizzatori sociali.
La Confcommercio Sardegna ha presentato un decalogo per la Fase 2, chiedendo alla Regione la riapertura immediata, non più tardi del 18 maggio, di bar e ristoranti:
“Il rischio – dice l’associazione – è la morte certa delle imprese del settore”.
I dati
Le imprese del variegato mondo del commercio nell’Isola sono 57.729, di queste 11420 dei servizi di ristorazione e rappresentano il 12,2% del Pil isolano. Quindi una buona fetta dell’economia sarda.
“Il danno determinato dall’emergenza sanitaria e dalla conseguente chiusura è incalcolabile soprattutto se si considera l’indotto occupazionale (15,5% del totale Sardegna) – dice Nando Faedda presidente di Confcommercio Sardegna – Oggi la maggior parte dei lavoratori del comparto è in cassa integrazione. Se non ci attiviamo quanto prima per la riapertura la chiusura definitiva di molti è ormai inevitabile”.
“Tutti i nostri esercenti ormai conoscono le circolari del ministero per la sanità sulla sanificazione – conclude -, sanno cosa devono fare per gli accessi nei punti vendita come anche per il distanziamento sociale. I lavoratori sono in attesa di riprendere”.
Le parole della Confcommercio sono chiare, oltre il 18 maggio davvero non si può andare. Le attività hanno bisogno di riaprire per non morire. Inoltre rispetto alle perdite di fatturato, stimate per il periodo di Lockdown, bisogna seriamente prendere in considerazione il decalogo di servizi da garantire a queste attività. Quindi via libera per bar e ristoranti. Benvenuta Fase 2.