Nei mesi di lockdown la vita collettiva è stata pesantemente condizionata con un martellamento quotidiano sull’emergenza sanitaria. Tutta l’attenzione è stata polarizzata sui problemi di sicurezza e sul pericolo pressante del Covid-19.
Ora siamo entrati nella cosiddetta fase 3, detta della “ripartenza”, che dovrebbe segnare il ritorno graduale alla normalità. Ma il chiodo fisso delle Istituzioni sembra essere quello della “riapertura in sicurezza”, con le relative prescrizioni di “distanziamento sociale”, mascherine, divieto di assembramenti, sanificazione continua, ecc.
Mentre si è parlato poco e solo marginalmente dei problemi del settore spettacolo, soprattutto con riferimento alla drammatica situazione degli artisti e dei tecnici privi di tutele assistenziali, precari perenni senza reddito in attesa di un contratto temporaneo. Di essi non vi è traccia nei documenti ufficiali e nei Piani di sviluppo elaborati dagli esperti.
Insomma, sembra che lo spettacolo e la cultura non siano stati considerati come obiettivo strategico, essenziale per la crescita e la difesa della condizione di civiltà del nostro Paese. L’arte e la cultura non sono solo intrattenimento, vanno riconosciuti come beni primari, strumenti fondamentali per analizzare e comprendere la realtà e favorire le relazioni sociali più solidali e pacifiche.
Non bisogna infatti confondere le provvidenze economiche per superare la crisi messe in campo dal governo, sulla spinta encomiabile del ministro Franceschini, con i Piani più ampi di sviluppo e rinnovamento del sistema Paese.
Va precisato che il ministro Franceschini ha assicurato a tutti gli Organismi di spettacolo finanziati dal FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) un contributo pari all’80% di quanto assegnato nel 2019 senza vincoli di parametri e di rendicontazione. Tuttavia, questi contributi vanno alle imprese e non agli artisti, ai tecnici ed ai vari professionisti, i quali, rimasti senza contratto a causa del blocco che ha annullato o rinviato le produzioni, non riceveranno la paga. Mentre i dipendenti assunti a tempo indeterminato devono accontentarsi della retribuzione ridotta prevista dalla cassa integrazione in deroga. Questa drammatica situazione, indubbiamente ingiusta e scandalosa, riguarda diverse migliaia di persone in Italia.
Ben consapevoli delle potenzialità dello spettacolo dal vivo nel generare emozioni e favorire l’incontro, pur nel cosiddetto “distanziamento sociale” (un vero ossimoro), il CeDAC, incoraggiato dagli amministratori dei Comuni partecipanti, ha lavorato intensamente, in accordo con gli artisti e le Compagnie, per ri-programmare le stagioni in dodici località, onorando così l’impegno con il proprio pubblico.
Negli spazi all’aperto individuati dalle amministrazioni comunali dovremo osservare le disposizioni previste dai rigidi protocolli di sicurezza, che comportano, da un lato, il limitato numero di posti disponibili e la conseguente riduzione di risorse dal botteghino e, dall’altro, un aggravio di costi organizzativi di personale e di sanificazione al termine di ogni replica.
Ovviamente confidiamo che il pubblico riprenda fiducioso a frequentare le nostre stagioni godendo anche della bellezza degli scenari architettonici e naturali negli spazi allestiti all’aperto, anche come buon auspicio per la riapertura in autunno dei Teatri al chiuso.