La legge 120/2011, approvata il 12 luglio 2011, viene indicata anche come “Legge Golfo-Mosca” dal nome delle due deputate (Lella Golfo del PdL ed Alessia Mosca del PD) che l’hanno presentata all’attenzione deliberativa del Parlamento.
Si tratta di una legge importante perché introduce l’obbligo di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di governo e di controllo, Consigli di Amministrazione (anche CdA nel seguito) e Collegi Sindacali, delle società quotate e di quelle a controllo pubblico.Quote di genere, di fatto quote rosa …
La legge stabilisce che ci deve essere equilibrio di genere fra amministratori delle società quotate: “Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio deve essere applicato per tre mandati consecutivi (articolo 1, comma 1) e per organi con più di tre componenti”. E su questo vincolo è chiamata ad indirizzare, vigilare e, eventualmente, sanzionare le inadempienze la Consob.
La mia prima considerazione è legata al fatto che, grazie a questa legge direi epocale, il dibattito sulla parità riprende vita ed i board delle maggiori Imprese italiane si aprono alle donne. Nasce una nuova e nutrita classe dirigente al femminile e cresce la consapevolezza che bisogna “andare oltre”, “cambiare passo” ed aiutare le giovani leve a costruire un Paese a misura di donna.
Ammetto di aver inizialmente nutrito qualche dubbio sul concetto di quote rosa obbligatorie nei Cda. Credo fosse più che altro un dubbio generalizzato nella platea delle donne, che da quel momento in poi avrebbero legittimamente potuto domandarsi se la loro nomina fosse frutto di una scelta operata su base meritocratica, oppure dettata dalla contingenza del momento.
L’interrogativo ha però, con il tempo, lasciato spazio all’impegno professionale assunto, permettendomi di concentrare la mia attenzione, come credo quelle delle altre donne venutesi a trovare nella stessa mia posizione, sui doveri e gli oneri conseguenti alla mia nomina, che rendevano in quel momento irrilevante la ragione per cui fosse stata scelta la mia figura piuttosto che quella di un uomo.
Ritengo che l’uguaglianza di genere, quindi, non sia solo una questione di valori ma una tematica centrale della modernizzazione sociale ed economica. Finalmente viene riconosciuto il principio che senza donne non si cresce.
Ho sempre pensato, poi, che uno dei punti di forza della “Legge Golfo-Mosca” sia stato la previsione della propria “scadenza”. Questo perché l’intento era quello di dare il via ad un cambiamento culturale profondo con una forzatura del sistema, sfondare il famigerato soffitto di cristallo per far sì che le donne meritevoli e competenti potessero, presto, farcela da sole.
Ma quali sono stati gli effetti della cosiddetta “Legge Golfo-Mosca”?
La Consob, all’interno di uno studio di settembre 2018 “Boardroom gender diversity and performance of listed companies in Italy”, che ha preso in analisi le società italiane quotate nel periodo 2008-2016, analizza l’impatto della legge su:
- diversità di genere e su alcune caratteristiche dei board, quali il livello medio di istruzione, l’età, il profilo professionale;
- performance delle imprese italiane quotate.
È emerso che la presenza femminile è aumentata in media di 17 punti percentuali subito dopo l’entrata in vigore della legge e di 11 successivamente. L’ingresso delle nuove amministratrici ha anche contribuito a modificare altre caratteristiche dei board, riducendo l’età media, aumentando sia la diversità in termini di età e formazione professionale che il livello medio di istruzione.
Lo studio evidenzia, poi, come sia determinante la presenza di una massa critica di donne perché queste riescano ad impattare positivamente sui risultati d’impresa. In particolare, quando la percentuale di donne supera una determinata soglia, che varia tra il 17% e il 20% del board, le stime evidenziano un effetto positivo e significativo su tutte le misure di performance utilizzate.
Com’era la situazione prima del 2011?
Prima dell’entrata in vigore della legge, le donne erano fortemente sottorappresentate negli organi di governo delle società quotate: considerando il perimetro delle aziende quotate italiane, nel 2011 la presenza femminile si attestava fra il 6% e il 7% appena del totale dei consiglieri di amministrazione e al 6,5% dei membri dei collegi sindacali.
Circa sette anni dopo, ovvero nel giugno del 2018, gli obiettivi di “quota” della Golfo-Mosca risultavano invece non solo raggiunti, ma addirittura superati, e senza che la Consob abbia dovuto applicare sanzioni. Secondo l’ultima rilevazione della Commissione che vigila sulle società e la Borsa, che si riferisce appunto a quella data, la presenza delle donne è del 36% e del 38% circa, rispettivamente, nei CdA e nei collegi sindacali delle aziende quotate.
Cos’è cambiato dopo la Golfo-Mosca?
A valle dell’applicazione della legge, l’età media dei consiglieri di amministrazione delle quotate si è abbassata. Mentre è aumentata la diversità in termini di età e profili professionali, così come la presenza di amministratori laureati e con un titolo di studio post-laurea. Dopo il 2011, poi, si è diffuso un metodo di selezione delle candidature basato più sull’esame dei curricula e meno sul ricorso alla rete delle conoscenze personali.
Insomma, il processo si è fatto, nel complesso, più virtuoso. Ultimo punto, ma non per importanza, che evidenzio è relativo al fatto che le aziende in cui sono presenti donne nei CdA appaiono più sensibili ai temi della sostenibilità.
Il cambiamento è stato talmente evidente che la Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (c.d. Legge di Bilancio 2020), ha prorogato, di fatto, la “Legge Golfo-Mosca” portando da tre a sei mandati consecutivi l’obbligo di applicare il criterio di riparto previsto in materia di parità di genere nei Consigli di Amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate ed a controllo pubblico ed innalzando la quota riservata al genere meno rappresentato da un terzo a due quinti.
Va senza dire che il rinnovo della legge punta, da una parte, a consolidare la presenza delle competenze femminili nei CdA, dall’altra a rafforzare la nostra economia in termini sia di competitività che di sostenibilità ed equità. L’obiettivo deve essere la parità ed una sempre maggiore rappresentanza femminile nei ruoli decisionali e di maggiore responsabilità, anche per sostenere le politiche aziendali di condivisione e conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
Ritengo, però, che, per dare vita a un effettivo cambiamento in tale direzione, occorra tempo. Fino a quando il mutamento non sarà consolidato, duraturo ed intrinseco, le previsioni normative avranno il compito di favorire ed accompagnare la formazione di una nuova cultura, per una maggiore, ma soprattutto migliore, inclusività.
Ovviamente non è tutto rose e fiori: le donne ai vertici continuano ad essere poche e non c’è stato il tanto sperato effetto trascinamento/contagio sul settore privato.
Cosa fare, allora, per valorizzare il talento femminile?
Seguono alcune riflessioni e proposte:
- supportare un’evoluzione culturale che abiliti un maggiore “empowerment” delle donne nel mondo professionale;
- adottare un approccio “positivo” alla tematica attraverso la testimonianza e l’impegno di donne con un percorso di carriera di eccellenza;
- organizzare iniziative culturali e professionali mirate ad elevare la qualità degli operatori del settore;
- networking e formazione per lo sviluppo di competenze manageriali e “self empowerment”;
- mentoring verso giovani donne;
- progetti di innovazione “al femminile” e proposte a livello istituzionale che supportino la riduzione del “gender gap” nel mondo lavorativo a tutti i livelli.
Il tutto deve avere come fattore abilitante la tecnologia la trasformazione digitale.
Tra l’altro, il momento che stiamo vivendo impone che vengano messe in campo, nei board delle aziende, le capacità anche delle donne che devono essere sempre più consapevoli che è possibile fare la differenza nel nuovo scenario economico ed imprenditoriale in cui:
- il business si sviluppa attraverso canali variegati e differenti che occorre saper gestire in modo coerente ed integrato;
- i nuovi processi di organizzazione devono unire alle tradizionali conoscenze specifiche del mestiere le nuove competenze tecnologiche e digitali;
- i tempi di vita e di lavoro si intrecciano sempre più gli uni agli altri. Dunque è necessario costruire nuovi modelli organizzativi capaci di rispondere ai nuovi bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori.
Infatti, si sta lavorando al cambiamento delle organizzazioni tutte per renderle più snelle ed efficienti adottando le opportunità offerte dalla digital transformation, tra cui:
- smart working,
- migrazione su cloud,
- adozione di strumenti di social collaboration,
- formazione per lo sviluppo di una nuova leadership digitale,
- rafforzamento del lavoro per obiettivi e del lavoro per team,
- lo sviluppo di processi e servizi full digital,
- il ripensamento di spazi e luoghi di lavoro.
Mi piace concludere questo mio breve scritto riportando la citazione di uno storico e suggerendo un libro che mi ha affascinato.
Quella delle donne è “l’unica rivoluzione non fallita di questo secolo: anche se non ancora compiuta” è quanto dice lo storico Eric Hobsbawn (1917 – 2012), affermazione che, di fatto, viene fatta propria da Aldo Cazzullo nel libro “Le donne erediteranno la terra”.
In un bellissimo excursus sul mondo femminile dalla classicità a oggi, l’autore racconta come le epoche della sudditanza femminile siano giunte al capolinea. Dati alla mano, le donne emergono a scuola e all’università e conquistano il monopolio d’innumerevoli professioni, dalla medicina alla magistratura, al mondo dell’industria, a quello della scienza e dell’insegnamento: l’Italia è ancora indietro ma anche in Italia, sono fiduciosa, verrà portata a termine la rivoluzione di cui sopra anche con il supporto di leggi quali le “Quote rosa”.