Parole che confermavano la vitalità spirituale, intellettuale e morale di un autore il cui primo, straordinario libro, Il Porto Sepolto, era nato mentre si trovava a combattere sul Carso. Quella raccolta, nonostante la limitata tiratura (solo 80 copie), richiamò grande attenzione da parte della critica forse perché, come ricordava lo stesso Ungaretti, era la prima «che usciva dalla guerra e che parlava della guerra come ne avrebbe parlato un povero fante senz’altre idee che la sua sofferenza e quella degli altri». E sin da allora emergeva la dimensione internazionale che caratterizzò i versi di Ungaretti, come ben risulta dai versi di Italia, che del Porto Sepolto è una sorta di manifesto: «Sono un frutto / d’innumerevoli contrasti d’innesti».
Nato l’8 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi emigrati, il poeta mantenne un legame indissolubile con la sua terra d’origine e poi con l’Europa, in particolare la Francia e l’Italia, quindi con l’America del sud, percorrendo un’avventura esistenziale segnata da una voce universale che ha contribuito ad accompagnare il tortuoso cammino del XX secolo. Non a caso si è parlato di «poeta di tre continenti» ed insieme di «nomade senza patria», a richiamare la salda connessione tra il suo percorso umano e il senso profondo dei suoi versi, come il titolo della raccolta complessiva dell’opera ungarettiana Vita d’un uomo inequivocabilmente sottolinea.
Sensibile alla lezione dei classici – da Petrarca a Shakespeare –, ma anche in stretto e proficuo rapporto con i suoi contemporanei – da Saint-John Perse a Henri Michaux, da Murilo Mendes a Francis Ponge –, Ungaretti partecipò intensamente alla vita letteraria e artistica del tempo, affermandosi quale maestro delle nuove generazioni poetiche. Queste, infatti, non tardarono ad individuare in libri come, per esempio, L’Allegria, Sentimento del Tempo, Taccuino del Vecchio il significato e il valore dell’intenso lirismo della poesia ungarettiana e la novità assoluta del suo linguaggio nudo ed essenziale.
Una dimensione che fu pienamente riconosciuta anche al momento della scomparsa del poeta, avvenuta a Milano la notte tra il 1° e il 2 giugno 1970, come lasciano trapelare senza incertezza le meditate parole di Vittorio Sereni: «Muore per la seconda volta mio padre. Dire questo gli è dovuto. […] Mi sono sentito suo figlio e come un figlio ho vissuto e sofferto le sue illuminazioni e le sue furie, le sue divinazioni e i suoi errori: un po’ come per l’Italia, perché Ungaretti era, e come, anche l’Italia.
Portava attorno a sé, nella sua sola presenza, un dono sempre più raro: la memoria, oscura e lacerata fin che si vuole, di una gioia d’origine. Nella convivenza imperterrita di questa, […] oppure nel suo urto col senso onnipresente della catastrofe, va forse cercato il segreto della poesia di Giuseppe Ungaretti, del suo chiaroscuro, dell’energia risorgente ogni volta: la sua allegria».