Lo scorso aprile, Il Popolo della Famiglia Sardegna interveniva sulla registrazione all’anagrafe del comune di Nuoro di una bambina concepita tramite fecondazione assistita in Spagna da una coppia di due donne, una delle quali è la madre biologica, e quale atto dal forte carattere ideologico, ne chiedeva la cancellazione dal registro del Comune.
Al comunicato stampa arrivavano, immediate, le risposte di Marilena Pintore (responsabile regionale del Centro di ascolto contro tutte le violenze Uil Sardegna) , dell’Avv. Irene Melis e dell’Avv. Maria Grazia Pastorino (Centro Uil), le quali sostenevano l’assoluta regolarità e legittimità della registrazione anagrafica.Come Popolo della Famiglia Sardegna, presa nota delle risposte qui sopra riportate, desideriamo dare la nostra smentita e affidiamo la replica all’Avv. Claudia Lusci, di Cagliari.
Queste le sue dichiarazioni sulla vicenda:
“I sardi sono soliti rispettare la Legge e lo Stato. Ad oggi, in Italia per le coppie dello stesso sesso è vietato utilizzare tecniche di fecondazione acquistando materiale da soggetti estranei. Capita, però, che si sfruttino legislazioni di paesi esteri. Da qui il Popolo della Famiglia si è opposto alla decisione del Comune di Nuoro che ha riconosciuto di fatto questa pratica d’acquisto all’estero.
Il Comune di Nuoro, peraltro, non poteva accertare nessun maggior interesse per il minore mediante più madri. Interesse solo millantato, si asserisce infatti che due madri darebbero maggior cura al minore. Col paradosso che più madri o padri, anche 3 o 4, sarebbero ancor più nell’interesse del minore? O magari, ciò permetterebbe di ottenere aspettative lavorative o altri benefici economici?
Già il Comune di Verona aveva chiarito in tal senso, vietando a due uomini di potersi menzionare come due papà. E nel marzo 2020 la Suprema Corte ha confermato il naturale divieto di iscrizione di più madri o padri. Con la sentenza n. 8029/2020 della Cassazione si chiarisce, infatti, che, alla luce della legge n. 40/2004, la quale disciplina la procreazione assistita, non sia possibile riconoscere il figlio di una coppia omosessuale, anche se unita da un’unione civile. Non si potrebbe, infatti, prescindere dal divieto espresso per le coppie dello stesso sesso di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita.
In questo caso, infatti, il riconoscimento si pone in contrasto con quanto sancito in particolare dall’art. 4 della legge n. 20/2004, che non permette forme di genitorialità svincolate dal legame biologico. Tutto ciò senza che nessuno tolga la libera possibilità di aiutare il minore secondo un superiore interesse, purché sia reale e nel rispetto delle funzioni genitoriali. Si auspica che la Corte Costituzionale chiarisca definitivamente ed aiuti le amministrazioni comunali “confuse” al rispetto della legge”.