Il 3 settembre del 1982 il prefetto di Palermo e generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa insieme alla sua seconda moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo perse la vita in uno dei più violenti agguati mafiosi del nostro Paese.
L’auto dove viaggiavano le tre vittime, l’Autobianchi A112, fu dilaniata da una violenta scarica di trenta colpi di Kalashnikov AK47.
I killer scelsero, infatti, un’arma da guerra per mettere a tacere per sempre un coraggioso servitore dello Stato troppo scomodo per Cosa nostra, il quale si era inserito efficacemente nelle dinamiche della “Seconda guerra di mafia”, dove i corleonesi stavano massacrando tutti i nemici per avere il controllo totale della “zona”. Per Dalla Chiesa “l’arroganza mafiosa doveva cessare” e in tempi brevi.
Al generale bastarono poco più di 100 giorni nella prefettura di Palermo per dar voce alla speranza dei palermitani onesti, speranza che durò pochissimo perché Cosa nostra attraverso i sicari di via Carini, “sette o otto di quelli terribili”, fece ripiombare i cittadini nell’orrore delle stragi e della violenza criminale.
Cosa nostra, che aveva già compiuto tanti crimini efferati uccidendo magistrati e politici, voleva chiudere il cerchio, degli uomini onesti e difensori della Legge, proprio con la morte di Dalla Chiesa inviato a Palermo all’indomani dell’omicidio del sindacalista Pio La Torre.
E così, dopo Boris Giuliano, Piersanti Mattarella, Pio La Torre e ancora tante altre vittime, quella mattina a via Isidoro Carini la rappresaglia mafiosa fece tremare una volta ancora l’Italia.
E la fece tremare nel momento in cui la nostra nazione stava sperando grazie alla figura del generale Dalla Chiesa, che aveva avviato il processo di disgregazione del fenomeno terroristico in Italia, di porre ormai fine alle stragi violentissime degli Anni di piombo.
Lo Stato italiano, dopo l’ingiusta morte di Dalla Chiesa, dovette fare i conti con l’amarissimo rimpianto di non avergli mai concesso i pieni poteri, che il generale chiedeva a gran voce, per combattere Cosa nostra.
Quindi, il prefetto inviato in Sicilia per combattere la mafia dopo anni di lotta al Terrorismo conclusi con gli arresti dei vertici delle Brigate Rosse, fu ucciso prima di ottenere i poteri necessari per distruggere la malavita organizzata.
Sono passati 38 anni da allora, ed ogni volta che leggiamo l’ultima intervista rilasciata a Giorgio Bocca e apparsa su Repubblica il 10 agosto 1982, ci sentiamo investiti sempre di una grande responsabilità che è quella di mantenere viva la memoria di un grande uomo, di “un innovatore attento e lungimirante” come lo ha definito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di un difensore della giustizia, medaglia d’oro al valore civile, che di valori civili ha riempito il nostro Paese negli anni in cui Terrorismo e mafia lo deturpavano insieme e senza alcuna pietà.
Il 3 settembre siamo chiamati tutti a ricordare perché è il giorno del ricordo.
Il CNDDU invita tutti a ricordare la figura straordinaria del generale Dalla Chiesa, soffermandosi sulle vicende che lo hanno trascinato alla morte, rileggendo o riguardando sul canale You tube le sue interviste, ne segnaliamo una in particolare rilasciata al giornalista Enzo Biagi.
Ci rivolgiamo poi in particolare ai colleghi docenti della scuola italiana affinché continuino a portare avanti tutte le iniziative finalizzate alla legalità e alla costruzione di una forte e autentica coscienza civile.
Tra pochi giorni inizierà la scuola e tra tanti dubbi e difficoltà si fa strada, a passo deciso, l’educazione civica che diventerà ufficialmente una materia come tutte le altre.
Noi crediamo fortemente che commemorare uomini come Carlo Alberto Dalla Chiesa sia già fare educazione civica, perché significa parlare ai ragazzi del ruolo attivo dei cittadini e del modo di operare dello Stato.
Dilatiamo, quindi, il tempo del ricordo e facciamo in modo di non arrivare, ogni anno, digiuni al 3 settembre. Educhiamo i nostri ragazzi al vivere civile e ai valori della legalità.