Quando si parla di belle storie c’è sempre un aspetto che fa pensare e riflettere, magari anche commuovente.
È successo a Marrubiu in questi giorni perché il sindaco del paese in provincia di Oristano ha consegnato le targhe ai concittadini che si sono contraddistinti in diversi ambiti sia a livello locale che nazionale, ma anche internazionale.
Dal sociale, alla cultura, dall’arte alla moda, un tripudio di uomini geniali che hanno saputo contraddistinguersi e portare il nome della cittadina nel mondo.
Uomini e donne che, in un proprio ambito, hanno saputo ritagliarsi uno spazio nella vita senza dimenticare le proprie origini.
Storie curiose e decisamente uniche, come quella di Roberto Cabras, sardo di origini, il suo accento lo tradisce, ma brianzolo di adozione perché abita da sempre a Desio, nella provincia di Monza Brianza.
Schivo, riservato, attento, ma mai in prima linea, in 30 anni di servizio ha saputo svolgere il proprio lavoro in modo impeccabile.
Oggi più che mai il suo ruolo è stato determinante nella gestione dell’emergenza Covid perché, da responsabile della MOF Lombardia (è il reparto chesegue la piccola manutenzione delle carceri), è intervenuto senza sosta nella gestione delle strutture per ridurre i rischi della pandemia.
Si è poi occupato della catena di produzione delle mascherine realizzate dai detenuti e, ancora più curioso, ha seguito il progetto Cucinare al fresco.
Un’idea apparentemente bizzarra che ha saputo mettere in rete il mondo della cucina dietro alle sbarre.
I reclusi infatti da qualche anno sono impegnati nella pubblicazione di riviste dedicate alla cucina proponendo piatti/ricette realizzate dietro alle sbarre, realizzate con strumenti a loro disposizione.
Un progetto che però non ha visto solo i gruppi di redattori a lavorare come giornalisti/chef, ma ha coinvolto anche la Polizia penitenziaria che ha saputo integrarsi nell’iniziativa coordinata da Arianna Augustoni.
Ma la curiosità di questa benemerenza ha origini ancora più profonde perché la famiglia Cabras ha in sé un forte senso del dovere e di servizio verso la Patria, infatti il padre Romano, poco più che ottantenne, nel 1963 ricevette dal Ministero della Giustizia un
attestato di benemerenza per avere agito a sostegno e supporto delle popolazioni colpite dalla rovinosa inondazione a seguito della rottura della diga del Vajont.
Il Caporale Romano, nel 1963 ha ricevuto infatti dal Ministero della Difesa il diploma di benemerenza per aver aiutato le popolazioni del Cadore a seguito della frana del Vajont, quando la rottura della diga devastò tutta la vallata.
Il Caporale, in servizio, insieme ai suoi uomini ha effettuato interventi per la riapertura delle strade e quindi facilitare la mobilità dei superstiti.
Nell’attestato di benemerenza si legge infatti che: “Quando una immane sciagura si era abbattuta sulle popolazioni del Cadore, i militari accorsero a portare l’aiuto che essi soli in quelle circostanze potevano dare.
Prodigandosi in comunione di dolore oltre i limiti del dovere, rintracciarono e composero i morti, riaprirono le strade e gettarono i ponti.
Donarono ai superstiti il conforto di una assistenza fiorita d’amore”.
Una bella storia che sa di amore e di solidarietà per la Patria. Mai come ora vale il detto popolare: Buon sangue non mente.