Fiore : “Dal 2017 ad oggi è stato utilizzato solo il 19% dei 100 milioni di euro per fronteggiare il dissesto idrogeologico. In Italia abbiamo avuto dal 1969 al 2018 ben 1713 morti per frane ed inondazioni”.
“Quelli ai quali stiamo assistendo non sono eventi rari. Solo per citare un esempio concreto temporali autorigeneranti avvenuti nel lontano 13 agosto 1935, nella zona di Milano, apportarono cumulate giornaliere di oltre 550 mm, pari al 60% della pioggia annuale che cade mediamente a Milano!
Cosi i 78 mm di pioggia caduti a Milano nord all’alba del 24 agosto hanno tempi di ritorno di 27 anni ma in quell’area temporali autorigeneranti avvenuti nel lontano 13 agosto 1935 apportarono cumulate giornaliere di oltre 550 mm, pari al 60% della pioggia annuale che cade mediamente a Milano!
I 53 mm caduti nel primo pomeriggio dell’11 luglio a Brescia annoverano tempi di ritorno di 17 anni mentre i violenti fenomeni avvenuti in Veneto nelle ultime 48 ore a Verona e a Cortina hanno tempi di ritorno persino più limitati – tra i 14 ed i 16 anni, con fenomeni piuttosto recenti di gran lunga più intensi.
In questi specifici casi, la quantificazione puntuale della fenomenologia risulta essere peraltro estremamente difficoltosa, visto che a distanze anche inferiori ai 3 chilometri, le precipitazioni si sono rivelate molto modeste se non quasi assenti!”.
Lo ha affermato poco fa il geologo, climatologo Massimiliano Fazzini dell’Università di Camerino e Coordinatore degli esperti sui cambiamenti climatici della Società Italiana di Geologia Ambientale, nel commentare gli eventi di queste ore nel Nord dell’Italia.
“Spesso il pur evidente ed accertato Cambiamento Climatico s.l. riveste il ruolo di “refugium peccatorum” ogni qualvolta un evento meteorico significativo – senza risultare essere “statisticamente eccezionale” causa fenomeni di dissesto idrogeologico e più recentemente gravosi “urban floods” come quelli che molto recentemente hanno interessato le citta di Brescia l’11 di luglio, di Milano il 24 luglio, di Verona ieri l’altro e di Cortina d’Ampezzo non più tardi i 24 ore fa, provocando danni ingentissimi.
Se da una parte è innegabile che il cambiamento climatico – ha concluso Fazzini – e la conseguente estremizzazione meteorologica si identifichi soprattutto in una maggiore frequenza di fenomeni meteorici brevi ed intensi, di tipo convettivo, è anche vero che, dati alla mano, tali fenomeni,
ogni volta definiti estremi o eccezionali, non possano poi essere annoverati in quelli realmente “rari”, visto che statisticamente presentano tempi di ritorno piuttosto limitati o non appartengono al cosiddetto 95°percentile della serie storica.
Occorre poi far comprendere come la quantificazione delle precipitazioni di tipo convettivo stia divenendo sempre più complessa, nonostante un monitoraggio meteo –
climatologico sempre piu moderno e puntuale, in quanto sempre la statistica, supportata dalle animazioni radar, ci confermano che quantità di pioggia davvero significative interessino superfici davvero ristrette e se nell’area colpita dal nubifragio non vi è collocato un pluviometro che quantifichi la reale magnitudo del fenomeno, spesso si incorre in errori anche notevoli nell’estrapolazione numerica della precipitazione stessa.
Fatto sta che, analizzando “i numeri” degli eventi appena sopra menzionati, ci si rende conto che il dato della cumulata meteorica o meglio ancora l’intensità oraria o semi/oraria della precipitazione ricadono sovente tra il 70 e l’80°percentile, quindi possono essere definiti eventi neppure cosi rari ma piuttosto “infrequenti”.
Se poi si va ad applicare la metodologia di Gumbel finalizzata al calcolo dei tempo di ritorno in anni per prefissate soglie pluviometriche raggiunte in tempo brevi (di solito 15-30-45 e 60 minuti) ci si rende conto che i tempo di ritorno di tali fenomeni sono spesso decennali o ventennali, dunque non di certo eccezionali.
Ma allora ci si deve chiedere se davvero l’estremizzazione climatica sia sempre la responsabile prima ed unica dei fenomeni di dissesto idrogeologico s.l.
– che per fortuna solo raramente e grazie ad una buona dose di fortuna non provocano vittime – oppure la gestione della problematica specifica sia sempre più complessa, difficoltosa se non compromessa dal pessimo uso del suolo e dall’oramai sempre più estesa impermeabilizzazione”.
Dunque il cambiamento climatico non può e non deve essere un alibi. Negli ultimi 60 anni 3500 eventi naturali a carattere disastroso in Italia.
“I dati parlano chiaro negli ultimi 60 anni si sono verificati oltre 3500 eventi naturali a carattere disastroso.
Eventi questi collegabili principalmente a fenomeni quali improvvise inondazioni torrenziali, frane o colate di fango e detriti.
Centinaia di migliaia il numero di sfollati e senzatetto – ha dichiarato Antonello Fiore, geologo, Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale – migliaia i morti; ingenti danni al patrimonio immobiliare e culturale.
Dal 1969 al 2018 frane ed inondazioni hanno interessato 3629 località in ben 2068 Comuni italiani ma il dato con ogni probabilità è destinato ad aumentare.
Almeno fino a fine 2018 abbiamo avuto in Italia ben 1132 persone morte per frane, 581 per inondazioni per un totale di 1713 persone. Impressionante il numero di evacuati e senza tetto: 320.117.
Saremo costretti ad aggiornare questa drammatiche statistiche, ma nello stesso tempo dovremmo sforzarci di associare a ogni numero un volto, una vita spezzata, una famiglia “mutilata”, dei rapporti sociali interrotti, un investimento dello Stato che non andrà a buon fine.
Chi non conosce la storia è costretto a riviverla due volte, il problema è che chi non conosce la storia ed è un decisore, costringerà a farla rivivere due volte e forse anche più alla popolazione. Ricordiamo alcuni eventi alluvionali”.
Ben 50 anni fa la Commissione De Marchi, poi?
“Sono trascorsi 50 anni dai lavori della “Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo” i cui atti grazie al CeNSU – Centro Nazionale di Studi Urbanistici sono disponibili in formato digitale.
La Commissione interministeriale, nota come De Marchi” e nata dopo l’alluvione di Firenze del 1966 – ha proseguito Fiore – aveva il compito di “esaminare i problemi tecnici, economici, legislativi, e amministrativi al fine di proseguire e intensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e di difesa del suolo sulla base di una completa programmazione”.
Dopo 50 anni ci possiamo permettere che eventi con un decorso naturale, accentuati dalla crisi climatica e da un uso improprio del territorio, possano creare vittime e danni alle infrastrutture e alle aree produttive?”.
Scarso utilizzo di risorse. E’ stato utilizzato solo il 19% dei fondi.
“Lo scorso anno una Deliberazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti che evidenzia come lo “Scarso utilizzo delle risorse stanziate per il Fondo progettazione contro il dissesto idrogeologico e inefficacia delle misure sinora adottate, di natura prevalentemente emergenziale e non strutturale”.
Nella relazione sul “Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico (2016-2018)” – ha concluso Fiore – approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti con deliberazione n. 17/2019/G del 31 ottobre scorso, si rileva che delle risorse effettivamente erogate alle Regioni, a partire dal 2017, solo il 19,9% del totale complessivo (100 milioni di euro) in dotazione al Fondo progettazione è stato utilizzato.
Sono numerose le criticità a livello nazionale e a livello locale rilevate: l’inadeguatezza delle procedure e la debolezza delle strutture attuative;
l’assenza di adeguati controlli e monitoraggi; la mancata interoperabilità informativa tra Stato e Regioni; la necessità di revisione dei progetti approvati e/o delle procedure di gara ancora non espletate; la frammentazione e disomogeneità delle fonti dei dati sul dissesto.
Tra le cause si è ormai consapevoli che concorrono con incidenza diversa secondo le situazioni l’abbandono delle campagne, l’edilizia distratta dagli interessi economici, l’abusivismo edilizio, l’assenza di manutenzione dei corsi d’acqua, gli incendi boschivi, i cambiamenti climatici, e altro.
Si nota come, nel non completo elenco sopra riportato, delle cause che concorrono al dissesto idrogeologico, la maggior parte delle cause sono attribuibili direttamente e indirettamente all’azione dell’uomo.
Oggi si può affermare che all’origine del tragico ripetersi degli eventi calamitosi c’è un problema esclusivamente di ordine culturale e non tecnico, un problema che può essere affrontato e risolti solo da un’azione politica che abbia la seria volontà di ritornare a curare la popolazione e il territorio, lasciando a quest’ultimo il suo naturale evolversi.
Il Paese è stanco di applicare il solito schema post evento calamitoso e limitato solo a un breve periodo del post evento:
si contano le vittime, si stimano i danni, si crea la solidarietà nazionale con raccolta fondi e fiaccolate di solidarietà, si cerca di capire le cause, si approccia con cautela a comprendere le responsabilità tecniche e politiche, si stanziano i fondi per ricostruire.
Magari la ricostruzione sarà nello stesso luogo, dove la natura ha tentato di riprendersi i suoi spazi. Lo schema ormai collaudato è pronto per essere applicato per altro evento calamitoso, in altra stagione e in altra regione”.