Le fotografie in mostra a Palau – 51 immagini 80×50 esposte negli spazi del Centro di Documentazione del Territorio – fanno parte di un più ampio progetto sulle minoranze in fuga, i nomadi, i pellegrini.
Nel Medio Oriente e sul Caucaso, in Asia e nelle Afriche degli esili, lungo i confini d’Europa, sotto i nostri occhi sta scomparendo la ricchezza della complessità, in quelle terre dove per millenni le genti hanno condiviso i santi, i gesti, i simboli, i miti, i canti, gli dei.
I cristiani del Pakistan, i maestri sufi d’Etiopia e Iran, gli sciamani afghani, gli ultimi pagani del Hindu Kush e degli Urali, i nomadi tibetani, le sette gnostiche dei monti Zagros:
Monika Bulaj sta costruendo un atlante delle minoranze a rischio e dei luoghi sacri condivisi, le ultime oasi di incontro tra fedi, zone franche assediate dai fanatismi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi, luoghi dove gli dei parlano spesso la stessa lingua franca, e dove, dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze, sguardi.
Come racconta la stessa Bulaj “ho viaggiato tra i confini spirituali, nei crocevia dei regni dimenticati, dove scintillano le fedi e le tradizioni dei più deboli ed indifesi, con la loro resistenza fragile ed inerme, la loro capacità al dialogo e all’incontro.
In cammino con i nomadi, minoranze in fuga, pellegrini, cercando il bello anche nei luoghi più tremendi. La solidarietà nella guerra. La coabitazione tra fedi laddove si mettono bombe. Le crepe nella teoria del cosiddetto scontro di civiltà, dove gli dei sembrano in guerra tra di loro, evocati da presidenti, terroristi e banditi.
Al centro è il corpo. Chiave di volta e pomo della discordia nelle religioni. Iniziato e benedetto, svelato e coperto, temuto e represso, protetto e giudicato, intoccabile e impuro, intrappolato nella violenza che genera violenza, corpo-reliquia, corpo martire, corpo-trappola, corpo-bomba.
Mi piace pensare il corpo come un tempio. Il corpo che contiene il segreto della memoria collettiva. Il corpo che non mente. Il sacro passa attraverso il corpo. Lo trafigge. Nell’arcaicità dei gesti, si legge la saggezza arcana del popolo, la ricerca della liberazione attraverso l’uso sapiente dei sensi”.
In occasione della serata inaugurale, giovedì 10 settembre alle ore 22:30, si terrà uno speciale incontro con la fotografa che sarà protagonista della performance multimediale Broken Songlines – Tre manoscritti:
una narrazione estemporanea in cui, sul grande schermo, con luci e suoni che danno vita alla scenografia naturale del luogo, scorrono storie di amori e separazioni, resistenze e fughe, danze sacre e cammini, dei silenzi nei grandi spazi e masse che ondeggiano come alghe, accompagnati dal reportage in azione.
Biografia
Monika Bulaj, fotografa, reporter, documentarista e performer, svolge la sua ricerca sui confini delle fedi tra minoranze etniche e religiose, popoli nomadi e fuggiaschi, in Europa, Asia, Africa e nei Caraibi.
Ha studiato filologia all’Università di Varsavia, seguito corsi di antropologia, filosofia, teologia.
Pubblica con Granta Magazine, La Repubblica, Corriere della Sera, Revue XXI, Internazionale, GEO, National Geographic, New York Times, e Guardian, ecc. Autrice di libri di reportage letterario e fotografico con Alinari, Skira, Frassinelli, Electa, Feltrinelli, Bruno Mondadori, National Geographic, Contrasto.
I suoi ultimi libri sono: “Where Gods Whisper” (Contrasto), “Genti di Dio. Viaggio nell’altra Europa” (Postcart), “Nur. Afghan Diaries” (National Geographic Poland), “Nur. La luce nascosta dell’Afghanistan” (Electa, scelto da TIME come uno dei migliori libri fotografici del 2013).
Tra i riconoscimenti ricevuti: Leonian award di W. Eugene Smith Memorial Fund; TED Fellowship ; Aftermath Project Grant; Bruce Chatwin Special Award for Photography “Absolute Eyes”.
Nel 2014 le è stato consegnato il Premio Nazionale “Nonviolenza”, per la prima volta assegnato ad una donna, con questa motivazione:
“per la sua attività di fotografa, reporter e documentarista, capace di mettere in luce l’umanità esistente nei confini più nascosti eppure evidenti della terra, di far vedere la guerra attraverso le sue conseguenze, di indagare l’animo dell’Uomo, la sua ansia di religiosità, di tenerezza e di dignità.
Monika Bulaj rende visibile l’invisibile, attraverso l’esplorazione dell’animo delle persone, creando con l’immagine, l’unità dell’umano.” Il suo lavoro in corso è stato sostenuto da Pulitzer Center on Crisis Reporting.