Milena Castigli intervista il giudice Simonetta Matone, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, su minori e giustizia (e molto altro)
Giudice, oggi Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, per 17 anni PM per il Tribunale dei Minori. In passato, capo di gabinetto del Ministro Mara Carfagna, vice capo vicario del Dap con il ministro Severino e capo del Dipartimento degli Affari di Giustizia con il ministro Cancellieri. Tutto questo e molto altro – è infatti madre di tre figli! – è Simonetta Matone.
In prima linea per la Giustizia
Una vita in prima linea per la Giustizia (sì, quella con la G maiuscola) verso la quale nutre profondo rispetto ma senza falsi irenismi.La giornalista Milena Castigli l’ha intervistata per il quotidiano In Terris sui limiti e le potenzialità del sistema giudiziario italiano, sulla piaga della delinquenza giovanile e sulle cause dell’aumento della violenza contro donne e bambini.
Infine, sono stati toccati temi più allegri: il ruolo della fede nella società e il ricordo più bello di Simonetta Matone in tanti anni di lavoro a contatto con il lato oscuro dell’essere umano.
L’intervista alla giudice Matone
Giudice Matone, quanto ha inciso il coronavirus nello svolgimento del suo ruolo quale Sostituto Procuratore Generale presso la corte di appello di Roma?
“Il coronavirus ha inciso solo relativamente sulla mia attività lavorativa. Anche se a scartamento ridotto, in procura generale tutti hanno continuato a lavorare. Durante la pandemia, la giustizia (almeno quella penale) non si è fermata”.
Qual è il problema principale della giustizia penale?
“Il problema centrale della giustizia penale è il carico mostruoso di processi arretrati. Solo la Corte di Appello di Roma ne ha 46mila! Anche con sforzi immani, sono processi destinati inevitabilmente alla prescrizione. Purtroppo, manca il personale: non solo giudici e magistrati, ma che il personale esecutivo ed amministrativo che ha un sovraccarico di lavoro enorme. Purtroppo, siamo in perenne situazione di emergenza da almeno 30 anni”.
Ha lavorato 17 anni alla Procura per i Minorenni. Cosa pensa della criminalità giovanile?
“In genere, questi ragazzi hanno avuto delle storie personali fortemente segnate: abusi, violenze, famiglie sfasciate, microcriminalità etc. Siamo in presenza di situazioni che hanno una spiegazione: nessun ragazzo diventa un delinquente da adulto all’improvviso, ma c’è sempre qualcuno che lo spinge su questa strada. Una storia difficile che – pur non giustificando – spiega le ragioni alla base delle scelte sbagliate di tanti ragazzi. O “baby criminali”, come vengono spesso erroneamente definiti. Però i ragazzi non sono mai dei delinquenti ‘nati’, lo diventano a causa delle cattive influenze”.
Ambiente, società, scuola o famiglia. Quale istituzione educativa ha fallito con questi ragazzi?
“Principalmente la famiglia d’origine è alla base delle scelte e del tipo di vita che condurrà un giovane, in un verso o in un altro. Non è solo la società o l’ambiente circostante a incidere. Ciò che fa la differenza è la famiglia d’origine. Quale famiglia ha avuto il ragazzo alle spalle? Quale educazione, quali valori sono stati insegnati? Quante e quali violenze ha vissuto? Se la famiglia è assente o è malata, i figli quasi certamente seguiranno quell’esempio e faranno scelte sbagliate”.
Che peso ha la scuola nel prevenire i fenomeni di criminalità giovanile?
“La scuola può fare molto ma non tutto. Ci vorrebbero insegnanti non solo preparati dal punto di vista culturale, ma anche con un grande carisma, in grado di attrarre i giovani fuori dalla spirale delinquenziale. Cosa che non sempre accade. La scuola è importantissima e può ispirare il buono e al bello. Ma non può fare i miracoli, specie se la famiglia è inadatta al suo ruolo e educa i figli a dei disvalori. Quella tra famiglia e scuola è dunque una lotta impari”.
La cronache degli ultimi anni presentano un numero crescente di genitori che uccidono i propri figli. Cosa ne pensa?
“Questo è un fenomeno nuovo e purtroppo in crescita negli ultimi anni. Vale a dire persone – in genere uomini – che non sopportano la rottura del rapporto e uccidono il partner o, peggio, uccidono i figli per vendetta. E’ una cosa spaventosa. Penso però che parlarne troppo, enfatizzando la notizia, sia un errore. Perché spinge all’emulazione i soggetti psicolabili. E questo spiegherebbe almeno in parte l’aumento improvviso di questo genere di delitti”.
Qual è il ruolo della giustizia in una società sempre più indirizzata alla vendetta personale?
“La giustizia ha un ruolo fondamentale per il benessere della società. La giustizia deve però essere certa, non esemplare. Deve cioè rappresentare un ruolo di garanzia, di equilibrio. La pena deve essere certa, ma misurata alla colpa. Altrimenti rischiamo di vivere come in un regime totalitario”.
Oggi la giustizia è certa?
“Purtroppo no. Molti pensano di delinquere e poi di potersela cavare. E, a volte, hanno ragione. Lo dimostrano il 46 mila casi penali pendenti”.
Quanto è importante secondo lei la fede nella vita delle persone e nella società?
“La fede è fondamentale. E’ la linfa vitale delle persone. Rappresenta inoltre la via di salvezza per una società scombinata come la nostra”.
Ha conosciuto decine di storie terribili. Vuole raccontaci invece una storia a lieto fine?
“Una delle mie più grandi soddisfazioni professionali l’ho vissuta quando ho rivisto tre sorelle che da bambine – la vicenda risale al 1993 – avevano subito violenze da un gruppo di ragazzi, molti dei quali minorenni. Una storia terribile. Dopo molti anni, le giovani vittime sono venute a trovarmi durante un convegno. Tutte e tre erano riuscite a superare quei traumi e a costruirsi una vita normale, addirittura felice”.