Una donna allo specchio in “Spogliarello” di Dino Buzzati – in cartellone giovedì 13 agosto alle 22 in piazza Santo Isidoro ad Allai (OR) nella raffinata mise en scène firmata da Marco Nateri (che ha curato regia, scene e costumi), ripensata nel rispetto delle nuove norme, con Marta Proietti Orzella nel ruolo dell’affascinante e inquieta protagonista insieme con l’attrice-cantante Alessandra Leo sotto le insegne del II Festival “Palcoscenici d’Estate” organizzato dal Teatro del Segno con il patrocinio e il sostegno del Comune di Allai e inserito nel progetto “Intersezioni”/rete di festival senza rete a cura di Fed.It.Art. Sardegna.
Un intenso ritratto al femminile con la pièce che apre il trittico finale della kermesse nel paese del Barigadu – fortemente voluta dal sindaco Antonio Pili e dall’amministrazione comunale per una “ripartenza” nel segno dell’arte e della cultura.
Lo spettacolo: “Spogliarello”
“Spogliarello” – nella versione di Marco Nateri – evoca la dimensione intima e raccolta, “segreta” quasi, suggerita da una scenografia che evoca una camera da letto o di un salottino per signore, o forse un elegante boudoir, teatro di conversazioni private e “scandalosi” incontri.
La pièce racconta l’amara discesa agli inferi di Velia, una donna bella ma fragile, desiderosa di conquistare un posto in società o almeno una certa tranquillità economica che la metta al riparo dagli imprevisti e dai rovesci di fortuna.
La giovinezza e l’avvenenza son le carte vincenti che si gioca sul piatto del destino, ma la sorte beffarda le porta via, all’ultimo istante, il dono promesso facendola precipitare nella miseria e di nuovo prestiti, investimenti, affari dubbi se non peggio la faranno scivolare sempre più in basso, fino a farle toccare il fondo, trasformandola da mantenuta di lusso in bella di notte, con tutti gli inconvenienti del mestiere più antico del mondo.
La naturale aspirazione alla felicità si confonde per lei con il raggiungimento dell’agognato benessere, con la possibilità di godersi serenamente la vita senza più preoccupazioni di carattere finanziario, ma ogni tentativo in tal senso viene invariabilmente frustrato per l’ingenuità o incapacità di lei o per circostanze esterne, così che ogni volta le tocca ricominciare daccapo, un gradino più in basso.
Una certa istintiva astuzia le permette di ottenere fiducia e appoggio, sia pure momentaneamente, e non rinuncia certo a far valere le sue doti pur di ottenere quel che brama, ma ogni volta qualcosa sembra andare storto, l’amante scompare, l’attività non rende o l’offerta è troppo ingiuriosa e rivoltante perché possa sottomettervisi, costringendola a difendersi con un ultimo scatto d’orgoglio.
Storia di una caduta – in senso materiale e morale – “Spogliarello” rivela, attraverso lo sguardo di Velia, lo squallore e l’ipocrisia della società che la circonda tra mariti fedifraghi e mogli indignate, più per lo scandalo che per il tradimento, avvocati e usurai, benpensanti e perbenisti e onesti mascalzoni, il ruolo fondamentale della chiesa nell’alleviare le coscienze e la necessità imprescindibile di salvaguardare le apparenze.
Un gioco di maschere in cui la giovane, con i suoi amori “interessati” e i suoi traffici pericolosi, per cui paga il prezzo dell’emarginazione e dell’oblio, appare più che altro una vittima, non del tutto ignara, anzi spesso consapevole ma incapace di difendersi dalle insidie e dai tranelli di avversari ben più agguerriti.
Un mettersi a nudo – metaforicamente – in uno “Spogliarello” dell’anima in cui la donna rivela i suoi veri sentimenti, la rabbia e lo sconforto, la delusione e la voglia di rivalsa, e si abbandona al piacere di ipotetiche vendette e al gusto per l’insulto con una cattiveria che quasi stona con la sua immagine di creatura dolce e remissiva, sensuale e piacevole, quasi un giocattolo, una bella bambola con cui trastullarsi ma che venuta a noia verrà gettata via.
I suoi sorrisi maliziosi e le sue moine celano una volontà di ferro, la determinazione a raggiungere quel solo e fondamentale obiettivo, mentre il denaro (che non possiede) pare diventato la sua ossessione, più si avvicina e più le sfugge eppure nel massimo del degrado trova ancora la forza di sperare di redimersi, se non agli occhi dei suoi simili almeno davanti a Dio.
Velia incarna un modello femminile mai passato di moda, una donna che punta in alto ma identifica necessariamente in un uomo – padre, marito o amante o un ipotetico “cugino” – il mezzo per sfuggire alla miseria e conquistare uno status sociale più elevato, invece di fare affidamento sulla propria intelligenza e abilità.
Specchio di una società dichiaratamente maschilista per cui le donne, tranne rare e probabilmente criticate eccezioni, son viste come angeli del focolare o in alternativa dispensatrici di piaceri a pagamento, “sante o puttane”, le cui eventuali ambizioni professionali appaiono più come velleità che come mezzi di sussistenza e affermazione di sé.
Quella bellezza prorompente su cui si fonda il suo potere sugli uomini è anche un’arma a doppio taglio, perché quando non può più scegliere o difendersi, la protagonista è fatta oggetto di profferte non gradite e la sua vita dissoluta, più per necessità che per scelta, la condurrà verso un rapido e irreversibile declino, non senza qualche accenno di tardivo pentimento.
Marco Nateri ricostruisce l’ambiente in cui l’eroina sui generis vive o rivive i momenti cruciali della sua esistenza:
«Un grande tappeto bianco a forma circolare per definire la stanza della nostra protagonista, un piccolo boudoir. Tante sedie e un inginocchiatoio per raccontare la storia di Velia, bella e affascinante donna, una donna alla ricerca disperata di quella sicurezza che la faccia vivere senza preoccupazioni. Il racconto si dipana attraverso le “stazioni” che dopo la morte improvvisa dell’ingegnere si trova ad affrontare la protagonista. La Via Crucis di una donna disperata che ha perduto tutto!».
Tra le righe di una tragedia che assume i toni grotteschi della farsa nel crescendo quasi comico delle catastrofi che colpiscono la protagonista fin dal primo quadro, Nateri legge «il racconto di una solitudine (tema affrontato nei precedenti lavori, come “La parrucca” di Natalia Ginzburg e il “Bell’indifferente” di Jean Cocteau) che ogni essere umano deve affrontare, raccontato in modo crudo e ironico e contrappuntato dalle musiche e dalla voce della cantante in scena».
Un nuovo “Spogliarello” per il costumista e scenografo di fama internazionale, che si cimenta ancora una volta con la regia:
«Dopo tredici anni ritorno in scena con questo meraviglioso testo in una versione registica ed estetica diversa dalla precedente, ma sempre con un grande amore verso Velia ed il suo mondo e soprattutto verso il mondo di Dino Buzzati che verrà restituito in maniera rispettosa senza tagli o adattamenti».
E per il debutto nel Barigadu la scrittura scenica cambia ancora, nel rispetto delle regole e delle distanze di sicurezza, in cui la circolarità del racconto per quadri si trasforma in funzione di una visione frontale, più “classica” ma non meno sorprendente e coinvolgente, per condurre gli spettatori nel vortice dei pensieri di quest’eroina in negativo.
“Spogliarello” (nuova produzione del Teatro del Segno) dopo la “prima” nell’Isola proseguirà la tournée sulla penisola – pur nell’attuale incertezza per quel che concerne luoghi e date – portando con sé la cifra inconfondibile, limpida e graffiante, ironica e surreale dell’autore, che preferiva definirsi un pittore dedito anche, quasi casualmente, al giornalismo e alla letteratura, le cui opere appaiono ancora oggi di una sconcertante e quasi profetica modernità nel definire inquietudini, desideri e paure dell’uomo contemporaneo, sradicato e lontano dalla natura, travolto dai ritmi frenetici e alienanti delle città