S’Urachi: cenni storici
Il sito archeologico di S’Urachi, che domina la piana alluvionale tra la laguna di Cabras e il Montiferru, è, senza ombra di dubbio, una delle testimonianze più importanti della Civiltà nuragica in Sardegna.
Edificato in varie fasi dell’Età del Bronzo, nella seconda metà del II millennio a.C., consta di un nuraghe massiccio – formato da una torre centrale e quattro torri laterali – circondato da un antemurale con dieci torri e – sparsi nel territorio circostante, verso le pendici del Montiferru – una quindicina di nuraghi più piccoli e semplici.
Nel Bronzo finale, quindi tra il XII e il IX secolo a.C., gli antichi residenti ristrutturarono il nuraghe, lo dotarono di una parete esterna e costruirono, a un centinaio di metri, il villaggio di “Su Padrigheddu”.
Nel giro di pochi secoli, tuttavia, i Nuragici di S’Urachi si ritrovarono ad avere a che fare con i Fenici, popolo di navigatori e commercianti, che nell’Età del Ferro – VII secolo a.C. – si insediarono nella penisola del Sinis e fondarono Tharros.
E fu così, dunque, che iniziò una convivenza tra le due comunità: indigeni e colonizzatori.Ma quali erano i rapporti tra Nuragici e Fenici?
Nel corso dell’ultimo decennio sono stati effettuati numerosi scavi e studi, sia a S’Urachi sia a Su Padrigheddu, per rispondere a questa domanda.
Fra questi abbiamo il Progetto S’Urachi, avviato nel 2013 dalla Brown University con il Museo Civico di San Vero Milis, che ha cercato di capire come interagissero gli indigeni e i colonizzatori e come la comunità di S’Urachi si sia evoluta di conseguenza.
La ricerca della Brown University a S’Urachi
L’ultimo di questi lavori, in particolare, si è focalizzato sulla ricerca di evidenze nella zona E, più precisamente nel fossato di 5 metri di larghezza, portato alla luce di fronte alla sezione orientale della parete esterna.
Ciò che ha attirato l’attenzione dei ricercatori durante lo scavo era l’allagamento negli strati più bassi del fossato, che ha mantenuto, in buono stato di conservazione, il contenuto di quella che sembra essere una discarica, data la natura dei ritrovamenti.
Nel fossato di S’Urachi, infatti, gli archeologi hanno rinvenuto:
- ossa di animali domestici con visibili segni di taglio;
- un tronco di quercia, usato per supportare l’argine del fossato, e scarti di legno;
- ceramiche datate tra la metà del VII e la metà del VI secolo a.C.;
- semi e frutti di piante coltivate e selvatiche.
Le ceramiche e i resti botanici sono i ritrovamenti che, più di tutti, hanno fornito agli autori preziosi dettagli sulla quotidianità dei Nuragici di S’Urachi al tempo della colonizzazione fenicia.
Le ceramiche
Le ceramiche rinvenute a S’Urachi sono state costruite nella zona, tra la metà del VII e la metà del VI secolo a.C., e avevano forme fenicie. La tecnica usata per ottenerle, inoltre, era ibrida, segno di uno scambio di conoscenze tra Fenici e Nuragici.
I resti botanici
I frammenti di semi e frutti sono stati ritrovati associati alle ceramiche e, buona parte di essi, appartenevano a piante coltivate.
Tra i semi vi erano quelli di:
- grano duro (Triticum aestivum durum);
- fave (Vicia faba);
- lino (Linum usitatissimum);
- melone (Cucumis melo).
Tra i frutti, invece, vi erano:
- l’uva (Vitis vinifera);
- i fichi (Ficus carica);
- le melagrane (Punica granatum);
- le olive (Olea europea).
Benché cereali, legumi e semi oleosi venissero coltivati già da tempo nell’Isola, il melone, la vite, il fico, l’olivo e il melograno si ritrovano a partire dalla fine del II millennio a.C., il che suggerirebbe uno scambio di colture e tecniche agricole tra le due comunità.
In conclusione…
I risultati dello studio forniscono preziose informazioni sulla vita quotidiana a S’Urachi nell’Età del Ferro e di come i Fenici abbiano contribuito a modificare la dieta, l’economia e la cultura dei Nuragici, scambiando con loro merci e conoscenze. Un passo in avanti, quindi, verso la comprensione di questo affascinante pezzo di storia!
Jessica Zanza