Il Coordinamento Nazionale dei Docenti delle discipline dei Diritti Umani ricorda il 30° anniversario della morte del giudice dott. Rosario Angelo Livatino occorsa il 21 settembre del 1990.
Nasceva a Canicattì il 3 ottobre 1952 e dopo la maturità classica al liceo Ugo Foscolo nel 1974 si laureava in Giurisprudenza all’Università di Palermo con il massimo dei voti all’età di 22 anni. Vinceva il concorso in magistratura nel 1978 e il 18 luglio dello stesso anno prestava giuramento presso il Tribunale di Caltanissetta.Nel 1979 giungeva alla Procura di Agrigento dove svolgeva il suo ufficio di Pubblico Ministero e avviava le inchieste sulla mafia locale, mettendone alla luce gli stretti legami con la politica. Nel 1981 veniva nominato magistrato presso il Tribunale di Agrigento.
Rosario Angelo Livatino
È lì che il 21 settembre del 1990, mentre percorreva con la sua Ford Fiesta amaranto la Statale 640 in contrada Gasena per recarsi in ufficio senza scorta, come era solito fare, lo sorprendeva un commando di quattro ventenni “stiddani” – affiliati all’associazione mafiosa contrapposta a Cosa Nostra denominata la “Stidda” – che lo uccidevano brutalmente.
Uomo di legge e di fede, era “un professionista colto ed estremamente consapevole, credente convinto e praticante”, dotato di una fede che “ha dato forma al suo servizio professionale”, così lo ha definito il cardinale Franco Montenegro a chiusura del suo processo di canonizzazione diocesano.
Invero nella sua breve vita Livatino ha vissuto la sua professione di magistrato come una missione di carità verso l’uomo, agendo da servo di Dio. Dal 2011 al 2018 sono state raccolte oltre 4000 pagine di testimonianze della sua fama di santità che descrivono un uomo ed un giurista sempre volto all’ umanizzazione della giustizia.
Uno dei 45 testimoni escussi nella causa di beatificazione e canonizzazione ha riferito che Livatino era solito stringere la mano dell’imputato al termine dell’udienza e che non gli interessava condannare ma rendere realmente giustizia, giudicare in base ai fatti guardando l’imputato in modo umano.
Il pentimento e la conversione dei suoi aguzzini, assieme alle testimonianze della sua fede e di un miracolo potrebbero portare al riconoscimento della sua venerabilità, beatificazione e santità a conclusione del processo presso la Congregazione delle Cause dei Santi.
Durante il suo servizio, accolse la vocazione del S. S. Giovanni Paolo II che, durante il discorso all’Unione Giuristi Cattolici del 1982, chiedeva di valorizzare coloro che si impegnano consapevolmente “nell’attuazione dell’etica cristiana nella scienza giuridica, nell’attività legislativa, giudiziaria, amministrativa, in tutta la vita pubblica”. Lo fece nella convinzione che il compito del magistrato non sia solo quello di applicare il comando astratto della legge, ma di coglierne l’anima e utilizzarla come mezzo per raggiungere la redenzione e la salvezza di ciascun uomo, perché la legge è un mezzo, e non un fine, per realizzare la tutela della dignità dell’uomo.
“La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana” perché “la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge”.
Così il giudice Livatino descriveva il rapporto tra fede, giustizia e legge durante la conferenza sul rapporto tra fede e diritto svoltasi a Canicattì il 30 aprile 1986.
Nella sua vita eroica rifiutò sempre il coinvolgimento di altri nelle conseguenze del proprio servizio, siano essi familiari o agenti della scorta, vivendo consapevolmente il proprio martirio nell’inerzia generale.
Altro che ragazzino, verrebbe da pensare, Livatino fu un giudice di maturo ed elevatissimo spessore, modello di grande uomo e giurista giusto e testimone potente della fede cristiana.
In occasione della ricorrenza del trentennale dalla sua morte, il CNDDU propone ai docenti delle discipline giuridiche ed economiche, nonché ai docenti di lingua e letteratura italiana e dell’I.R.C. di avviare un approfondimento trasversale sulla figura di Rosario Angelo Livatino per coglierne gli aspetti letterari, le riflessioni sullo stato di diritto e la profonda spiritualità.
Perché il giudice Livatino ci ha lasciato un’importante eredità non solo tecnico – giuridica ma anche umanitaria.
Nelle sue riflessioni affidate agli appunti privati, oggi divenuti testi letterari, troviamo delle considerazioni dall’elevato potenziale educativo tra cui ricordiamo una delle più profonde:
“Quando moriremo non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili”.
Insegniamo ai nostri giovani ad essere credibili, ad essere testimoni dei propri ideali e della propria etica in ogni azione quotidiana, a credere di poter raggiungere i propri obiettivi con impegno e valore senza dover scendere a compromessi.
Prof. Veronica Radici
CNDDU