Molti giudici del nostro passato e del nostro presente hanno sicuramente profondamente introiettato una parte fondamentale del pensiero filosofico greco che si occupava del concetto di giustizia. Essa è al di là degli interessi personali e vive in una sfera più alta rispetto al “particulare”; non basta evitare di compiere il male, bisogna perseguire il bene o perlomeno rispettare le leggi. L’ammirazione che suscitano gli uomini ispirati da tale principio inviolabile è legittima; eppure è fortemente desolante constatare come nella maggior parte dei casi avvenga proprio il contrario.
Anche se la coscienza, fiamma viva in ciascuno di noi, detterebbe diversamente:”Ci sarebbe forse possibile vivere, se fosse corrotta quella parte di noi che viene turbata dall’ingiustizia, mentre dalle cose giuste riceve giovamento? È giusto o ingiusto che si cerchi di evadere pagando e ringraziando coloro che ci aiuteranno a farlo? Se ci sembra giusto, proviamoci; altrimenti, se ci apparirà chiaro che di un’azione ingiusta si tratta, non preoccupiamoci di dover morire o di subire qualsiasi altra pena, restiamo con tranquillità al nostro posto e diamoci pensiero, piuttosto, di non commettere ingiustizia.
E se commettere ingiustizia è, per chi lo fa, cosa né buona né bella, noi non dobbiamo nemmeno ricambiare le ingiustizie, qualsiasi cosa gli altri facciano a noi. A condividere queste opinioni sono e sempre saranno in pochi, e fra chi la pensa così e chi no, non è possibile comunità d’intenti. Ma può sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui si fa quanto è possibile per distruggere le leggi, una città in cui le sentenze non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate da privati cittadini?» (dialogo di Platone, il Critone)
Il CNDDU invita a una riflessione attraverso il brano proposto sui temi della cittadinanza attiva e responsabilità individuale, ricordando la figura del giudice Alberto Giacomelli.