Fazzini (SIGEA) interviene sulle recenti alluvioni in Italia
“Quelli ai quali stiamo assistendo non sono eventi rari. Solo per citare un esempio concreto, temporali autorigeneranti avvenuti nel lontano 13 agosto 1935, nella zona di Milano, apportarono cumulate giornaliere di oltre 550 mm, pari al 60% della pioggia annuale che cade mediamente a Milano!
I 53 mm caduti nel primo pomeriggio dell’11 luglio a Brescia annoverano tempi di ritorno di 17 anni mentre i violenti fenomeni avvenuti in Veneto nelle ultime 48 ore a Verona e a Cortina hanno tempi di ritorno persino più limitati – tra i 14 e i 16 anni, con fenomeni piuttosto recenti di gran lunga più intensi. In questi specifici casi, la quantificazione puntuale della fenomenologia risulta essere peraltro estremamente difficoltosa, visto che a distanze anche inferiori ai 3 chilometri, le precipitazioni si sono rivelate molto modeste se non quasi assenti!”.
Lo ha affermato il geologo e climatologo Massimiliano Fazzini, dell’Università di Camerino, e Coordinatore degli esperti sui cambiamenti climatici della Società Italiana di Geologia Ambientale, nel commentare gli eventi di queste ore nel Nord dell’Italia.
“Spesso il pur evidente e accertato cambiamento climatico s.l. riveste il ruolo di “refugium peccatorum” ogni qualvolta un evento meteorico significativo – senza risultare essere “statisticamente eccezionale” – causa fenomeni di dissesto idrogeologico e più recentemente gravosi “urban floods” come quelli che molto recentemente hanno interessato le città di Brescia l’11 di luglio, di Milano il 24 luglio, di Verona ieri l’altro e di Cortina d’Ampezzo non più tardi di 24 ore fa, provocando danni ingentissimi.
Se da una parte è innegabile che il cambiamento climatico – ha concluso Fazzini – e la conseguente estremizzazione meteorologica si identifichi soprattutto in una maggiore frequenza di fenomeni meteorici brevi e intensi, di tipo convettivo, è anche vero che, dati alla mano, tali fenomeni, ogni volta definiti estremi o eccezionali, non possano poi essere annoverati in quelli realmente “rari”, visto che statisticamente presentano tempi di ritorno piuttosto limitati o non appartengono al cosiddetto 95° percentile della serie storica.
Occorre, poi, far comprendere come la quantificazione delle precipitazioni di tipo convettivo stia divenendo sempre più complessa, nonostante un monitoraggio meteo-climatologico sempre piu moderno e puntuale, in quanto sempre la statistica, supportata dalle animazioni radar, ci confermano che quantità di pioggia davvero significative interessino superfici davvero ristrette e se nell’area colpita dal nubifragio non vi è collocato un pluviometro che quantifichi la reale magnitudo del fenomeno, spesso si incorre in errori anche notevoli nell’estrapolazione numerica della precipitazione stessa.
Fatto sta che, analizzando “i numeri” degli eventi appena sopra menzionati, ci si rende conto che il dato della cumulata meteorica o, meglio ancora, l’intensità oraria o semioraria della precipitazione ricadono sovente tra il 70 e l’80° percentile, quindi possono essere definiti eventi neppure cosi rari ma piuttosto “infrequenti”. Se poi si va ad applicare la metodologia di Gumbel, finalizzata al calcolo dei tempo di ritorno in anni per prefissate soglie pluviometriche raggiunte in tempo brevi (di solito 15-30-45 e 60 minuti), ci si rende conto che i tempi di ritorno di tali fenomeni sono spesso decennali o ventennali, dunque non di certo eccezionali.
Ma allora ci si deve chiedere se davvero l’estremizzazione climatica sia sempre la responsabile prima e unica dei fenomeni di dissesto idrogeologico s.l. – che per fortuna solo raramente e grazie a una buona dose di fortuna non provocano vittime – oppure la gestione della problematica specifica sia sempre più complessa, difficoltosa se non compromessa dal pessimo uso del suolo e dall’oramai sempre più estesa impermeabilizzazione”.