La maturità letteraria di Mariachiara Farina arriva con la sua seconda pubblicazione: “Maree“, un libro delicato.
“Maree”: la recensione
Un libro delicato. Una gradevolezza che è l’essenza interiore di Mariachiara Farina, luminosa autrice di “Maree”, edito da “Le giraffe di Robin edizioni”.
Una soavità che è il leit motiv narrativo della pubblicazione, capace con la sua consistenza, talvolta vigorosa e talvolta fragile, che sono poi le peculiarità principali di Zenia, protagonista del racconto, di lasciare una traccia tangibile nella memoria del lettore.
E proprio il viaggio del ricordo di una Zenia oramai anziana che fa da regista e protagonista principale del libro, insieme all’adorata sorella maggiore Lucia. Un resoconto che va a ritroso negli anfratti del tempo sin dall’adolescenza lontana della protagonista in cui il confronto con se stessa, con le nostalgie e i dolori del passato perduto nei luoghi promiscui dell’infanzia, si fa spesso sofferto e affliggente.
Come un mosaico che esige dei tasselli basilari per concretizzare il suo disegno affascinante, anche il libro, dopo l’impatto iniziale in cui si patisce smarriti le dinamiche alternate dello scorrere narrativo, dove ciascun personaggio sorge fine a se stesso, acquisisce forma e virtù in simbiosi alla duttilità dei protagonisti.
Quasi d’incanto ogni frammento del puzzle trova il collocamento imprescindibile per dare sostanza a personaggi e avvenimenti. E il lettore, giocoforza, non indugia e si vincola all’incedere veloce e conciso, come lo scorrere dell’inchiostro su pagine che prendono vita.
Tra frammenti di un diario intimo, lettere rubate e novelle che s’intersecano, ecco, fra i pensieri di Zenia, affiorare dominante il ritratto di Lucia, sorella adorata e perduta troppo presto.
Le atmosfere di una Sardegna primordiale del secolo scorso, dove emergono le tradizioni, i riti e le scaramanzie del suo popolo, fanno da contorno alla descrizione sempre attenta, semplice e implicante in un prosperando di trepidazione, in cui gli intrecci familiari vengono messi a nudo, primariamente nel legame fra le due sorelle, la piccola Zenia e la già adulta Lucia, che non è solo di sangue ma è un patto esistenziale che si muove attraverso la complicità, la cultura e la conoscenza.
Gli altri protagonisti sono quasi come delle comparse ad eccezione di Salvatore, padre delle due sorelle, troppo affaccendato nell’inseguire le chimere di un suo ingombrante passato, in cui s’evidenzia il rapporto multiforme e talora osteggiato con Lucia, scrutato con gli occhi adolescenziali di una Zenia, che percepisce nella sorella maggiore la perfezione, il punto di riferimento esistenziale. La mamma Annamaria e la sorella “acquisita” Antioca chiudono il cerchio, come presenze più o meno indolenti agli occhi e al cuore di Zenia.
In conclusione…
Un libro promosso a pieni voti questa seconda opera di Mariachiara Farina che fa seguito a “Le Furie” (Robin edizioni) pubblicato nel 2018. Un fresco curriculum pubblicistico che con “Maree” ha dato un’ampia svolta all’impronta di scrittrice dell’autrice, dove con minuziosa attenzione vengono addolcite le trame per renderle somiglianti alla propria indole. Sino al superarsi con estrema funzionalità nella ricerca di una maturità letteraria.
Mariachiara Farina, trentaseienne avvocato nata a Nuoro che vive a lavora a Milano, dimostra tenacia, caparbietà e ostinazione nel perseguire gli obiettivi. E con lei afferrano compattezza i personaggi dei suoi libri con cui appare una sinergia potente, a tratti quasi devastante. Tutti volti femminili in cui ne scruta anima ed orizzonti con una sensibilità unica.
È successo con Altea, Tiziana e Melania in “Le Furie” e a Zenia e Lucia in “Maree”.
Chiudo con una frase che mi pronunciò qualche tempo fa in cui emerge la consapevolezza di vita e il desiderio di esprimere pensieri e passioni, magari su un foglio intonso per poi creare storie che lascino in eredità dei messaggi considerevoli.
“Essere curiosi è necessario per il proprio mondo. Bisogna leggere, scoprire, osservare gli altri, se stessi e la realtà che ci circonda come se fosse la prima volta, come fanno i bambini. È importante saper mantenere questo sguardo aperto, questa capacità di meraviglia. Ci aiuta a non bloccarci su dinamiche acquisite che non giovano alla nostra felicità né a quella degli altri, a non lasciar semplicemente trascorrere il tempo. E se da questa esperienza di apertura nascerà il desiderio di comunicare o fare qualcosa, il mio consiglio è di dare al proprio desiderio la possibilità di esprimersi.
Il percorso della scrittura mi ha permesso di entrare in contatto con tante persone che hanno scelto di esporre agli altri la loro ricchezza interiore dandole forma con le espressioni più diverse. A prescindere dal modo con cui si sceglie di narrare – parola, scrittura, fotografia o disegno – la spinta di base è sempre una sola: quella a comunicare e a condividere emozioni. E ben venga questa capacità di rinnovarsi e di generare: è una forma di creazione che non conosce sesso né età. Ed è sempre un dono. Per sé e per gli altri.”
Massimiliano Perlato