L’album: “Amore, Amore, Amore… un c.”
Paolo Pietrangeli è una figura importante per la cultura e lo spettacolo in Italia non solo come cantautore, ma anche come regista cinematografico e televisivo (uno dei più apprezzati degli ultimi decenni) e recentemente anche come scrittore. Nella sua ormai lunga storia è stato anche aiuto regista di mostri sacri come Luchino Visconti, Federico Fellini, Mauro Bolognini.
Sono tante le cose che ha da raccontare.
Per questo, tra una traccia e l’altra dell’album, Pietrangeli infila ricordi e aneddoti su se stesso e i suoi 75 anni, sulla sua gioventù, sul rapporto conflittuale con suo padre, Antonio Pietrangeli, talentuoso regista, su com’è nata “Contessa”, sulla Roma di Visconti e Fellini. In sintesi, racconta tutto ciò che ha formato la sua poetica fatta di ironia (“Amore un cazzo”), giochi di parole (“La merendera”) e metafore. Storie e filastrocche divertenti (“Lo stracchino”), ma anche intrise di melodia ed emozione (“Le sirene”, “Circonferenza”).
L’album è pubblicato su label Bravo Records/Ala Bianca, con distribuzione Warner. E contiene anche un cadeau: nella terza di copertina si trova infatti un QR Code che – scansionato con fotocamera dello smartphone – porta all’ascolto in streaming e al download di un concerto di Pietrangeli al Teatro Parioli di Roma nel 1995.
Le dichiarazioni
Così Paolo Pietrangeli racconta il disco:
“Amore, Amore, Amore… un c.” nasce come reazione all’insopportabile uso della parola e, peggio ancora, della sua abbreviazione: “Amo”. Come repulsione a ogni vezzeggiativo, sdolcineria verbale, lallazione di adulti rincretiniti ma capaci delle peggiori nefandezze… ma forse è colpa dell’età, la mia, che mi fa essere intollerante.
Detesto la plastica e amo il vinile.
Odio i CD e non so di che quale materiale siano fatti i files per cui di loro diffido.
Mi ricordo i settantotto giri di mio padre su cui ho cominciato ad apprezzare la musica.
A forza di sentire “L’Italiana in Algeri” da un 78 giri con sopra l’effige del cane di fronte al fonografo e intorno la scritta “disco grammofono”, i solchi erano diventati trincee per difendere Arturo Toscanini dai fascisti.
L’esecuzione di “Katia” da un altro 78 mi ha accompagnato lungo tutti i settantacinque anni della mia vita, svaniti con la leggerezza e la rapidità di un soffio.
“Katia danzava nei tabarin eleganti tra mille rose e fior, Katia danzava tra mille spasimanti e inebriava i cuor, Oh Katia, d’un tratto il principe le chiese, Oh Katia, è Pietrogrado il tuo paese? No rispose Katia, ma però un certo fascino ce l’ho, caro. Son puro sangue bolognese”.
E gli archi concludevano con un sonoro “Zan-Zan”.
Dei dischi, che a ragione potevano chiamarsi tali (non la loro parodia, i CD), apprezzavo le dimensioni, il lieve fruscio, il suono umano e non astratto, ascetico, asettico, insopportabile nella assenza di difetti di cui gli esseri umani sono pieni, le copertine: DEI QUADRI e non delle stitiche miniature che hanno costretto i grafici a costringere in maniera irreparabile la loro creatività.
Come ho aperto tantissimi, troppi anni fa così adesso chiudo con un vinile.
Buon ascolto se avete ancora il giradischi.
P.S. La vendetta del digitale mi costringe a inserire nel pacco un QR code.
Fotografatelo col vostro telefonino e buon ascolto di un concerto (una cantata) tenuta da me nel ’95. Vi prego, almeno ascoltatelo con le cuffie. Sentite che tiro, che forza, che emozione. Allora. E che musicisti!
Paolo Pietrangeli