Estratti di mirto come nuove risorse della medicina rigenerativa
È ormai risaputo che il mirto (Myrtus communis), un arbusto sempreverde della macchia mediterranea, sia parte integrante delle tradizioni sarde.
Le bacche, infatti, sono usate in cucina sia fresche, per insaporire le carni allo spiedo, sia sotto forma di confetture, nei dolci o in accompagnamento ai formaggi stagionati.
Ma il fiore all’occhiello della Sardegna è l’omonimo liquore che, ogni anno, è il protagonista di eventi come, ad esempio, la Sagra del Mirto di Telti e il Festival Internazionale del Mirto, mete di visitatori attratti dagli stand di degustazione e dalle diverse iniziative culturali.
Il liquore, come i nostri lettori sapranno, viene ottenuto facendo macerare le bacche in alcool etilico per circa un mese, al termine del quale il liquido viene separato dai residui, per essere imbottigliato e infine distribuito.
I residui, invece, sono usati in agricoltura come concimi; tuttavia, grazie ai ricercatori dell’Università di Sassari, le cose potrebbero cambiare.
Vediamo il perché!
Lo studio sugli estratti di mirto
Essendo le bacche di mirto una preziosa fonte di antiossidanti, presenti in grandi quantità negli scarti industriali, i ricercatori li hanno estratti per studiarne gli effetti sulle cellule staminali del tessuto adiposo.
Queste cellule staminali sono molto importanti in medicina rigenerativa, sia perché – a differenza di quelle del midollo – possono essere prelevate in maggiori quantità con procedure poco invasive, sia perché si mantengono vitali e capaci di differenziarsi (in parole povere, maturare) più a lungo.
Se sottoposte a particolari stimoli, inoltre, possono far rigenerare diversi tipi di tessuto (adiposo, osseo e articolare) danneggiati dall’infiammazione.
Dal momento che, tra gli stimoli attivanti queste cellule, vi sono anche gli antiossidanti, il team dell’ateneo sassarese ha valutato se anche quelli del mirto ne fossero capaci.
Dopo aver purificato e messo in coltura le cellule staminali adipose di 12 pazienti, dunque, gli studiosi hanno eseguito vari test e raccolto i risultati.
Ma cosa è emerso dalla ricerca?
I risultati mostrano un’elevata capacità antiossidante dovuta ai polifenoli – soprattutto tannini e antociani – che hanno protetto le cellule staminali da un noto agente ossidante, l’acqua ossigenata.
Questi effetti derivano dalla capacità dei polifenoli di “spazzare” i radicali liberi e di aumentare la produzione di due proteine (SIRT1 e HSP90b), che migliorano la resistenza allo stress ossidativo delle cellule suddette.
Ciò rappresenta un fatto di notevole importanza, se pensiamo che lo stress ossidativo fa invecchiare le cellule staminali che, pertanto, non riescono a differenziarsi e sostituire quelle danneggiate.
Modulando la produzione di sostanze dette “citochine”, inoltre, i polifenoli richiamano le cellule staminali nei tessuti infiammati, le fanno maturare e promuovono, così, la rigenerazione.
Questo studio, dunque, evidenzia le potenzialità degli estratti di mirto nel contrastare – in supporto ai farmaci – le malattie degenerative, grazie alla capacità di stimolare il rinnovamento dei tessuti.
Ma, soprattutto, ci insegna che i sottoprodotti delle lavorazioni industriali rappresentano delle risorse alternative, da cui ricavare prodotti cosmetici e farmaceutici sempre più innovativi.
Jessica Zanza