Marialucia Di Meo veste la maglia giallo-blu per la XII stagione consecutiva
Non è solo questione di arte sopraffina nel saper usare con grazia le matite colorate e raffigurare un ammiccante asinello, mascotte ed emblema inossidabile del Tennistavolo Norbello. Marialucia Di Meo incarna quegli ideali di umiltà, bravura, benevolenza e soprattutto fedeltà che raramente resistono all’usura del tempo.
Allenatrice presso il Tennistavolo Avellino, pongista e responsabile marketing di una ditta ubicata nello stesso capoluogo di provincia, la principessa irpina dall’iride che incanta, consolida il grande feeling con il sodalizio guilcerino (risalente alla stagione 2009/2010), mettendosi nuovamente in discussione con la A2 femminile, ovviamente nel reiterato ruolo di capitano.
Nella scorsa stagione, assieme a Gohar Atoyan, Ana Brzan e Gaia Smargiassi dominarono il girone C, assicurando una promozione in A1 non legittimata dai regolamenti che escludono la convivenza di due squadre dello stesso club nella massima serie.
“Per indole non amo cambiare spesso maglia – confida Marialucia Di Meo – anche se molte persone in questi anni mi hanno chiesto cosa mi tenesse legata a Norbello; la verità è che io con un’altra maglia non riesco proprio a vedermi”.
Con la dirigenza norbellese fu “amore a prima telefonata” – come ama ricordare – “anche perché – aggiunge – si sa che il presidente è un uomo di poche parole (ahahahahahaha). A parte gli scherzi, non conoscevo né la società né Simone Carrucciu, ma da subito mi ha colpito l’entusiasmo di un progetto a lungo termine e dopo undici anni direi che le mie aspettative non sono state deluse”.
Di rimando il dirigente norbellese si esprime con gli occhi lucidi e giura che non si tratta della solita allergia:
“Il giorno in cui Marialucia deciderà di abbandonarci – replica Simone Carrucciu – decreteremo un mese di lutto, ma egoisticamente spero che non accadrà mai. D’altronde il legame con la nostra società e con la mia famiglia è talmente stretto che non potrà rompere l’idillio così facilmente. Le sue caratteristiche umane e tecniche le abbiamo sempre decantate e non ci stuferemo di farlo. Lei è parte integrante della nostra evoluzione. Grazie di esserci grande Mari”.
L’entusiasmo per questa nuova avventura in maglia giallo-blu viene affievolito dalle incertezze scaturite dalla velocità di un virus sempre più implacabile:
“Sarà una stagione difficile soprattutto dal punto di vista emotivo. Da quando ho ripreso gli allenamenti in palestra – continua Marialucia – mi manca la spontaneità di una stretta di mano, il potermi avvicinare ai ragazzi per dare un’indicazione, la libertà di muovermi d agire come ero abituata a fare. Anche quando riprenderà il campionato sarà strano non potersi salutare come prima, non dimentichiamo che spesso il campionato è un’occasione per rivedere gli amici”.
Con il fluire continuo di notizie di ogni ordine e grado c’è sempre il rischio di mettere a dura prova la memoria, sovente dimenticando le nefandezze che si commettono appena venti giorni prima, innescando un processo riabilitativo con inspiegabile nonchalance.
Nel caso di Marialucia non si corre affatto questo rischio perché il suo passato è sempre stato cristallino e sicuramente da prendere come fulgido esempio per i giovani che vogliono intraprendere la carriera pongistica.
“Ho iniziato a giocare a otto anni nel Tennistavolo Avellino, società che alleno attualmente. Poi mio padre, che era anche il mio allenatore, decise di fondare una società tutta sua, il TT Fulgor. Dai 13 anni invece ho giocato nella Polisportiva Torretta di Boscotrecase, club in cui sono cresciuta per 7 anni, giocando dalla serie C fino all’A1”.
Finito il liceo, la cerbiatta campana sente il desiderio di cambiare ambiente e provare a crescere pongisticamente: “Mi sono spostata in Sicilia nel Tennistavolo Riposto. Dopo quattro anni, c’è stata una piccola parentesi di un solo anno a Roma e uno a Milano”.
E ora ripassiamo con lei i successi più importanti che un vero fan di Marialucia dovrebbe annottare nel proprio bignamino personale:
“Di sicuro non dimenticherò mai il titolo italiano individuale di Terza Categoria nel 2002; e con la maglia del Tennistavolo Norbello il bronzo assoluto in doppio con Ana Brzan e il bronzo inaspettato di Lucera 2016 nel singolo Seconda Categoria. Ma non sono da meno le tante promozioni a squadre, e la finale scudetto 2014 vissuta in panca assieme a Niko Stefanova, Marina Conciauro e Angeliki Papadaki. Credo di essere molto contenta di ciò che ho ottenuto”.
I racconti simpatici su una permanenza pluridecennale non dovrebbero mancare:
“Sinceramente non credo possano bastare poche righe per raccontare gli episodi vissuti da quando vesto questa maglia. Sicuramente si potrebbe scrivere un libro dal titolo Le mie trasferte in gialloblù, perché quelle finite senza qualche imprevisto si possono contare sulle dita di una mano. La sintesi di quello che è il Tennistavolo Norbello sta tutta nel mio primo anno: sono arrivata per giocare una tranquilla serie B, ci siamo ritrovate a giocare in A2 con una squadra allestita all’ultimo secondo, e siamo state promosse in A1: in pratica non sai mai cosa aspettarti”.
Quando risale la 131 fino alla base l’euforia è sempre la stessa:
“Norbello per me è una seconda famiglia, non dimentichiamo che Reby Carrucciu è la mia sorellina acquisita. Qui ho incontrato amici meravigliosi che mi hanno fatto sentire a casa dal primo momento. Segno che le persone hanno valore. Il fatto che abbiano subito creduto in me ha influito tantissimo sui miei risultati sportivi”.
Si sente appagata, ma non ancora completamente:
“Penso che come giocatrice non potrei chiedere di più – conclude Marialucia Di Meo – perché di sacrifici ne ho fatti davvero tanti fin da piccola e sono fiera di aver ottenuto anche più di quello che avrei mai potuto immaginare. Certo mi piacerebbe poter dire ancora la mia nel campionato di A2, anche se ormai i miei traguardi sono rivolti ai ragazzi che alleno. Mi piacerebbe un giorno avere un settore giovanile competitivo e che qualcuno dei miei giovani atleti possa giocare in un campionato di alto livello come è successo a me”.