Recovery Fund: opportunità e rischio, una questione di credibilità
Troppe parole sul Recovery Fund, o meglio Next generation EU, troppi sui media che ripetono all’infinito: “Ora che abbiamo questi 209 miliardi”; ”Ora che ci sono questi soldi”; ”Ora che è arrivato il recovery fund”, etc.
È necessario fare chiarezza innanzitutto sulla tempistica dei trasferimenti (sulla concretezza dell’erogazione credo che, a prescindere dai mal di pancia dei cosiddetti Paesi “frugali”, essi verranno deliberati.), l’Italia dunque nel 2021 utilizzerà 25 miliardi del programma Next generation Eu nel 2021 (11 di prestiti dal Recovery fund, 10 di sovvenzioni più altri 4 di finanziamenti per la coesione (React Eu), nel 2022 le risorse che l’Italia richiederà all’Europa saliranno a 37,5 miliardi, nel 2023 ci sarà un picco fino a 41 miliardi, per poi ritornare a 39,4 miliardi nel 2024, 30,6 nel 2025 e 27,5 nel 2026.
Nei primi anni l’Italia chiederà soprattutto le sovvenzioni (52 miliardi entro il 2023, su un totale di 65,4), limitando il ricorso ai prestiti (43,5 miliardi entro il 2023 e 84,1 dal 2024 al 2026) che incidono sul debito. Per evitare che esso aumenti i prestiti verranno usati soprattutto per sostituire l’emissione di titoli di Stato (risparmiando sugli interessi) mentre le sovvenzioni andranno a finanziare gli investimenti aggiuntivi. Ciò non toglie, spiega il ministro Gualtieri, che anche i prestiti daranno un importante aiuto. Per esempio, dice il ministro, il superbonus al 110% per le ristrutturazioni energetiche e antisismiche, che con la manovra potrebbe essere prorogato a tutto il 2023, «è una misura efficace, ma piuttosto costosa, perfetta per essere sostenuta con i prestiti, anche perché è coerente con gli obiettivi del piano» europeo.
Altro discorso il MES, i prestiti UE, senza interessi e condizionalità, per altri 36 miliardi che potrebbero essere chiesti per la sanità, è ancora tutto un nodo che il governo dovrà prima o poi sciogliere.
Ma come siamo arrivati alla cifra per il nostro Paese di ben 209 miliardi. È stato utilizzato un criterio misto per distribuirsi i prestiti dei 750 dell’intero pacchetto: innanzitutto la popolazione di ogni singolo stato, il PIL pro capite, e per i primi due anni il tasso medio di disoccupazione fra 2015 e 2019; nel 2023 questo criterio verrà sostituito con la riduzione del PIL nazionale fra 2020 e 2021 causato della pandemia.
Tutti i criteri citati rendono l’Italia uno dei principali beneficiari del Next Generation EU. Secondo un calcolo diffuso dal governo italiano e confermato da alcuni economisti, l’Italia otterrebbe circa 81,4 miliardi di sussidi e 127,4 miliardi di prestiti.
Dobbiamo più che mai però essere seri, la credibilità del nostro Paese si gioca ora ed è in ballo il futuro stesso delle prossime generazioni.
Innanzitutto bisogna sottolineare come afferma Stefano Micossi, direttore generale di Assonime, che l’accordo raggiunto sul RF è “uno straordinario successo per l’Unione europea, straordinario successo reso possibile dalla ritrovata unità e comune determinazione di Germania e Francia”, “ora viene la sfida più grande, che è quella di spenderli bene”, sottolinea Micossi.
Ma al contempo Carlo Cottarelli, guardando al futuro, avverte, “i problemi non sono risolti, anzi. L’Italia, secondo Cottarelli, dovrà presentare “un programma che sia valido, cosa che per ora non siamo ancora stati in grado di fare. Siamo l’ultimo Paese, non abbiamo ancora presentato un piano nazionale delle riforme, che è sì un atto formale, ma dimostra che ci muoviamo ancora troppo lentamente. Adesso ci sarà di nuovo una task force per creare un progetto da presentare all’Europa e che ci delinei”.
Insomma la partita è delicata. Il nostro Paese dovrà avere l’obiettivo di utilizzare questi fondi innanzitutto per investimenti strutturali e per la crescita economica di sviluppo sostenibile, al fine di rendere l’Italia un Paese, più moderno, più digitale, più innovativo, più green più sostenibile. Rafforzare le Imprese innanzitutto, in un momento cosi difficile, bisogna incentivare il lavoro e il lavoro è creato dalle Imprese e non certo dall’assistenzialismo che per altro tende a finire e non certo a durare illimitatamente.
La maggior parte degli investimenti devono essere destinati, alle piccole ma anche grandi infrastrutture, alla scuola, all’Università, alla ricerca, al riassetto idrogeologico di un Paese fragile come il nostro.
La vera ripresa sarà solo se questo inedito e irripetibile piano economico, sarà indirizzato ad obiettivi politici ben precisi, condivisi sia a livello europeo che nazionale, quelli di favorire appunto la transizione ecologica, energetica e digitale del Paese.
La sanità dunque dovrebbe essere uno dei progetti del Recovery Plan, anche se la cifra da stanziare sarebbe una partita tutta politica, il Mes appunto. Ma attenzione, senza soffermarci nella follia generale di queste ultime settimane che inonda alcuni settori di società non solo in Italia ma nel mondo intero, ma restando ai fatti, in questo periodo di ripresa massiccia della diffusione del virus e questa volta non più in alcune zone del Paese ma distribuito equamente su tutte le regioni, il rafforzamento della sanità pubblica in tutte le sue strutture preventive e curative deve essere prioritario e siamo già tremendamente in ritardo.
Un supporto dovrebbe arrivare anche al sistema scolastico, alla trasformazione energetica verso il “green”, alla gestione dei rifiuti e al trasporto pubblico. Infine ma non certo per ultimo c’è il nodo Mezzogiorno e una possibile, auspicabile incentivazione fiscale e sostegno vigoroso di risorse al turismo.
L’Europa prima dell’arrivo dell’emergenza sanitaria aveva fissato delle linee di indirizzo che partivano dal cosiddetto Green New Deal e le nuove risorse sono l’occasione buona per pensare ad un rilancio. I capitoli sono quelli del dissesto idrogeologico, della manutenzione della rete viaria, della prevenzione del rischio sismico e dell’efficientamento energetico. Tutte questioni legate a filo doppio con il rilancio economico del Paese e al suo assetto. Non buttiamo quindi risorse per impuntature ideologiche (certo che una volta le ideologie era ben altra cosa…) tipo inondare con confusione e senza ratio, le nostre citta di monopattini, per altro pericolosi come facilmente immaginabile o piste ciclabili fatte e concepite malissimo e… vuote.
Rafforziamo invece i trasporti pubblici che sono divenuti simboli di vergognosa inciviltà in molte nostre città. Per esempio, il traffico di Roma è impazzito? Ma l’uso dell’auto è obbligatorio se non hai trasporti pubblici efficienti. Oramai, se prendi un mezzo pubblico, se ignifugo è meglio…, per raggiungere il proprio posto di lavoro o un ospedale o altro servono ore, a volte quanto per raggiungere Milano con l’alta velocità.
A Parigi o Londra non ti viene nemmeno nell’anticamera del cervello di prendere l’auto, ti muovi in metro, per altro non pigiati come sardine.
Rivoluzione Digitale
Tra gli obiettivi che sono posti all’Italia per ottenere questo pacchetto di inventivi ci sono anche lo sviluppo della banda ultra larga, l’e-health e la crescita della PA digitale, fattori fondamentali per sostenere la ripresa economica e l’ammodernamento del nostro Paese.
Non si può infatti parlare sempre di innovazione digitale e poi non poter contare su una distribuzione capillare su tutto il territorio nazionale della banda larga e in vaste zone non arriva nemmeno internet, con la conseguente impossibilità di molti alunni di poter aderire alla Dad. Oppure, per fare un esempio semplice, non poter ricevere telematicamente dalle Poste Italiane o da qualsiasi Autorità, una raccomandata, una sanzione, una comunicazione normale, insomma alimentare ore e ore di fila solo per ritirare, a volte, una semplice comunicazione del condominio!
Se vogliamo parlare davvero di Innovazione e digitalizzazione partiamo da un dato recente (fonte Agenda Digitale), solo il 76% della popolazione adulta ha usato internet negli ultimi tre mesi contro una media dell’87% in Europa, le Linee Guida prevedono l’informatizzazione della pubblica amministrazione; il completamento della rete nazionale in fibra ottica e interventi per lo sviluppo delle reti 5G. In tal senso è importante garantire a tutte le imprese una connessione certa, sicura e veloce.
Rischio criminalità organizzata sui Fondi
Con lo stanziamento di questo corposo pacchetto tutte le mafie si sono allertate.
L’Europol lo scorso 15 settembre, tramite la sua sezione dedicata alle minacce criminali relative all’emergenza COVID-19, ha reso noto che i fondi destinati al Recovery Fund rischiano di finire nelle mani delle mafie, la sua direttrice esecutiva Catherine De Bolle ha lanciato l’allarme sull’ “incremento delle infiltrazioni nell’economia” da parte di organizzazioni criminali e sulla necessità che l’UE comprenda che “ci sono rischi sulla distribuzione dei sussidi e degli aiuti”.
Va preso atto che il “male” si già dato da fare, alimentando casi di truffe sulle forniture sanitarie, che hanno danneggiato i servizi sanitari nazionali, che ci sono state frodi sugli indennizzi di disoccupazione, in Italia sul Reddito di cittadinanza dato a gente non certo povera e a volte delinquenti noti e su altri sussidi dati dai governi alle imprese e che sono stati registrati anche casi di finte donazioni per la ricerca di cure e vaccini.
È fondamentale quindi che vi sia un monitoraggio accurato nella distribuzione dei fondi UE a titolo del Recovery Fund per evitare che non siano preda della criminalità organizzata, ma che invece siano destinati a chi ne ha davvero bisogno.
In Italia, il meglio delle nostre forze dell’ordine è in allerta. È rafforzato l’impegno dei GIA, Gruppi Ispettivi Antimafia Interforze (Ps, Cc e Gdf).
Il Comandante generale della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana in una un’intervista al Sole 24 Ore ha affermato che “i fondi europei in arrivo sono una occasione storica. Ma il rischio d’infiltrazioni della criminalità economica è grande». «La portata dell’intervento pubblico è storica e chiama la Guardia di Finanza a responsabilità di rilevanza eccezionale. La manovra economico finanziaria si annuncia di ampio respiro e, se non monitorata adeguatamente, potrà alimentare forme inaccettabili di arricchimento personale illecito alterando il funzionamento del mercato»
L’Arma dei Carabinieri, guidata dal generale Giovanni Nistri, ha in prima linea il Raggruppamento Operativo Speciale (guidato dal Gen. Pasquale Angelosanto) si è dotato di un vero e proprio “catalogo” aggiornato con l’emergenza dove sono evidenziati i settori più sensibili alle infiltrazioni criminali, le differenze tra gli appetiti delle cosche. Quelle camorristiche e pugliesi volteggiano sulle forniture di mascherine, Cosa Nostra è in agguato tra le attrezzature di sanificazione e le commesse pubbliche, le ‘ndrine della ’ndrangheta, in particolare, si concentrano sui nuovi capitoli di edilizia pubblica, specie sanitaria, e dei rifiuti. Rimasta intonsa invece la bramosia dei clan per fare affari con il credito illecito e il riciclaggio, l’usura è in aumento, si è moltiplicato welfare mafioso tra disoccupati e fasce deboli della popolazione (come avevo già evidenziato in un mio articolo “Covid-19, chi festeggia davvero? La criminalità organizzata tra usura e riciclaggio” dello scorso 26 luglio)
Poi vi è la Polizia di Stato, il prefetto Franco Gabrielli, va ricordato, è capo della Polizia ma anche Direttore Generale della Pubblica sicurezza. Così le sue direttrici per l’azione di prevenzione e contrasto sono state duplici. Si riunisce a cadenza periodica presso la Criminalpol l’organismo permanente di monitoraggio sulle infiltrazioni, gli specialisti investigativi delle forze di polizia consegnano le analisi aggiornate su tattiche e strategie mafiose.
Poi c’è la linea operativa della Polizia di Stato, parte dalla direzione centrale anticrimine e coinvolge le squadre mobili, le divisioni anticrimine, i servizi centrali operativo e anticrimine. Esplosa l’emergenza sanitaria causa il Covid, l’input immediato alle questure è stato di concentrare le attività informative e investigative, in coordinamento continuo con le procure, sui crimini da profitto. I cosiddetti reati spia, lo scenario vale per tutte le forze dell’ordine, diventano adesso la frode nelle pubbliche forniture, l’evasione fiscale, la turbativa d’asta
Vi è tanto da fare quindi e sarebbe il momento di prendere le migliori energie per programmare il futuro ma intanto “il Piano di ripresa e resilienza”, come lo ha chiamato il Governo italiano, che è stato trasmesso al Parlamento, è di 38 pagine e 32 slide, più che un piano sono una dichiarazione di intenti, mentre la Francia, per esempio, ha preparato un documento di oltre 300 pagine. Non presentano infatti ancora quali progetti sono stati selezionati perché l’Unione europea li finanzi con i 209 miliardi del Recovery Fund ma si limitano a ribadire le sei direttrici, peraltro già note da tempo.
Non mancano le polemiche, anche da Confindustria che ammonisce “gli interventi per le imprese sono in stallo, manca una strategia, l’esecutivo deve dialogare anche con le opposizioni”.
Insomma è in gioco la credibilità di un Paese, delle Istituzioni, del sistema produttivo e direi, di un popolo intero, nei confronti non solo dell’Europa e del mondo ma soprattutto nelle nostre nuove generazioni.
L’Italia è chiamata a decisioni all’altezza delle aspettative, saper coniugare rigore e competitività, concretezza e non vuota propaganda, rapidità e non galleggiamento nel nulla, per innovare e per riprogettare la nostra idea di Paese e il tipo di sviluppo che vogliamo per il futuro.