Oggi ricorre il 7° anniversario dalla tragica alluvione che nel 2013 seminò morte e distruzione in Gallura, in particolare ad Olbia, e nel centro Sardegna.
Legambiente Sardegna ha presentato, nel corso dell’estate, il dossier
“Opere incongrue e ostruzioni nei luoghi critici dell’alluvione del 18 Novembre 2013″
All’interno del dossier sono riportate alcune tra le tante opere incongrue che fanno parte del vasto campionario che, purtroppo, contraddistingue Olbia, come altri comuni italiani. Opere che si sarebbero dovute eliminare anni fa e che ciononostante sono ancora al loro posto a mettere in pericolo la città.
La prima fase di lavoro consiste nel liberare i canali con la rimozione di tombamenti, restringimenti, occlusioni che mantengono la città in allarme ogni volta che piove più del solito.
Vanno programmati al più presto i finanziamenti dei 150 milioni di euro per il progetto generale di interventi di mitigazione del rischio idraulico costituito dal devastante disordine urbanistico retaggio di decenni di manomissione del territorio.
Le immagini di tante città investite anche recentemente da eventi alluvionali accendono i riflettori sui pericoli che incombono a causa del perdurare dei disordini urbanistici.
Emerge in maniera eclatante che alcune delle criticità più rilevanti, nonostante non fossero necessarie le valutazioni di impatto ambientale, e fossero già disponibili, da anni, risorse finanziarie per 13 milioni di euro, non sono state risolte, aumentando sempre più il rischio idraulico. Per questo zone come Via Barbagia, Via Rio Gadduresu, Via Umbria, via Galvani, Via Petta, Via Nervi, Via Amba Alagi, sono diventate sinonimo di pericolo.
Ora si viene a conoscere che il servizio Valutazioni Ambientali ha preannunciato una valutazione negativa del procedimento relativo al progetto “Opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia”, presentato dalla Presidenza della Giunta, nel suo ruolo di Commissario di Governo per il dissesto idrogeologico. Una valutazione basata su motivazioni molto discutibili nella situazione specifica di Olbia.
È opportuno precisare che il progetto della Regione prevede opere di “mitigazione” del rischio idraulico, a significare che tale rischio è molto elevato e si può ridurre, ma non eliminare.
Va ricordato che tutte le analisi sull’alluvione avvenuto ad Olbia il 18 Novembre 2013 hanno concordato sul fatto che le sue tragiche e devastanti conseguenze sono state, in massima parte, un effetto della massiccia espansione edilizia, incontrollata e invasiva sul territorio, che ha sconvolto il paesaggio urbano e periurbano della città, il quale merita pertanto un restauro ambientale accurato, secondo gli indirizzi del PPR.
L’eccessiva piovosità di quel giorno ha avuto le gravi conseguenze che conosciamo perché ha insistito su un territorio reso vulnerabile dalla mano dell’uomo. Quanto è successo dovrebbe insegnare che, in tempo di cambiamenti climatici, è fondamentale attuare tutte le misure per dare dignità ai paesaggi fluviali ripristinandone per quanto possibile l’equilibrio naturale e garantendo la necessaria resilienza agli eventi estremi che vediamo ripetersi con sempre maggiore frequenza.
Gli elaborati del progetto di mitigazione hanno enumerato in maniera precisa tutte le tipologie delle criticità: restringimenti dei canali, tombamenti, costruzioni a ridosso degli argini, deviazioni del loro corso, sottopassi e ponticelli ristretti e totalmente inadeguati.
Di fronte a tanto disordine, causa fondamentale della tragedia, il provvedimento più radicale sarebbe stato quello di prevedere la demolizione delle decine di costruzioni che hanno ristretto gli argini e soffocato gli ambiti fluviali, allargare i canali, eliminare i tombamenti, e restituire alla città il reticolo idrografico originario.
È apparso chiaro che una tale impostazione progettuale, pure razionale e corretta, purtroppo non era materialmente possibile. Perciò il progetto di mitigazione del rischio idraulico si è indirizzato ad eliminare i casi più eclatanti di opere incongrue, senza demolire alcuna costruzione, e intervenire sui canali con interventi di escavo e sopraelevazione degli argini.
È chiaro che tale scelta ha comportato la previsione di opportune vasche di laminazione a monte dei rii al fine di ridurre il fattore di rischio.
Il progetto predisposto dalla Regione dispone di un finanziamento di 150 milioni di euro, 13 dei quali già disponibili da alcuni anni e destinati alla rimozione delle opere incongrue. L’importo complessivo, che si rischia di perdere se non si procede con celerità alla loro programmazione operativa, deve prevedere la sistemazione idraulica complessiva del territorio fondata su un approccio che mette al centro il ripristino delle vecchie vie d’acqua, rispettando le pendenze naturali della piana e dei corsi d’acqua, da preferire assolutamente alla creazione artificiale di nuove canalizzazioni.
Quello di cui il territorio necessita, in sostanza, è far scorrere l’acqua secondo il tracciato naturale e storicizzato, facendo ritrovare alla natura il suo equilibrio, in modo che i nuovi argini e le sezioni modificate possano diventare occasione di accompagnamento del cittadino o del turista in nuovi percorsi pedonali e ciclabili. Questa è l’impostazione del PPR i cui indirizzi pianificatori sono orientati prevalentemente al ripristino della rete idrografica naturale, o comunque preesistente, restituendole la dovuta dignità territoriale e paesaggistica e attribuendole potenzialità qualificanti e distintive del contesto urbano.
Da quello che si è venuto a conoscere delle motivazioni del preannunciato esito negativo, appare un disconoscimento delle ragioni tragiche che hanno comportato la redazione di un progetto appunto di mitigazione del rischio che, a tutt’oggi, persiste in tutta la sua gravità. Eppure sono agli atti i pareri positivi di Genio civile, Agenzia del distretto idrografico, Mibact Sovrintendenza, Ufficio tutela del paesaggio, Rti, Abbanoa.
Insomma, a leggere le cinque motivazioni che giustificherebbero la valutazione negativa sembra che, nella urbanisticamente ordinata città di Olbia, si vogliano eseguire ex novo: scavi per le vasche, escavi dei canali, produrre terre di scavo, aprire cantieri che provocano rumore e vibrazioni e provocare quindi un elevato impatto ambientale inaccettabile, trascurando che le opere citate sono necessitate dal perdurante rischio idraulico.
E’ comprensibile la esigenza della Commissione Valutazioni Ambientali della RAS di proporre soluzioni ancor più migliorative per cui le 5 motivazioni potrebbero essere inserite come prescrizioni nel contesto dell’auspicato parere positivo.
LE PROPOSTE DI LEGAMBIENTE
Legambiente, già dal 2018 ha condiviso l’approccio del progetto del Commissario Governativo che muove dal ripristino della rete idrografica naturale, o comunque preesistente, restituendole la dovuta dignità, che ribadisce con alcune proposte migliorative.
È fondamentale bloccare l’edificazione e prevedere la totale salvaguardia delle aree che il 18 Novembre 2013 sono state allagate, e che andrebbero destinate ad un sistema diffuso di aree di laminazionee parchi pubblici, privo di costruzioni ed evacuabile tempestivamente in caso di allerta. In particolare tale destinazione potrebbe essere assegnata alle zone verdi o libere, contermini ai corsi d’acqua, più prossime all’abitato, formando così dei “cunei verdi” fruibili dalla popolazione (come peraltro indicato dal PPR).
Pertanto si propone la realizzazione di un sistema di parchi lineari che segua la trama del reticolo idrografico esistente configurandosi come sistema di connessione verde in grado di unire i vari comparti liberi dall’edificato che si trovano lungo il corso dei rii, conferendo continuità al percorso fluviale, e dando una funzione urbana ad aree fino ad oggi rimaste marginali.
Questo intervento costituirebbe una integrazione della limitata estensione di verde pubblico di cui oggi dispone la città, un’azione di regolazione del microclima, e un’azione di qualificazione paesaggistica in linea con gli orientamenti di regreening urbano.
Il reticolo idrografico composto dai rii Tilibbas, S’Abba Fritta, San Nicola, Zozzò, Gadduresu, Seligheddu, Tannaule per arrivare al Padrogianos compone, in maniera unica in Sardegna, un paesaggio molto particolare in cui si conservano le tracce del sistema di zone umide che caratterizzavano la piana fino alle bonifiche degli anni 1903−1926. Paesaggio che finora è stato pesantemente maltrattato ed ha bisogno urgente di essere riconosciuto come matrice naturale strutturante e caratterizzante il territorio olbiese.
Intanto occorre ricostituire un senso di appartenenza e di riappropriazione storica della “città d’acqua” che, in primis, si attua liberando i canali dalle opere invasive e restituendo loro l’identità e la funzionalità di corsi d’acqua.
La delimitazione dell’intervento è legata ovviamente alla natura dei luoghi: sono da includere le aree di pertinenza fluviale e quelle classificate ad alta probabilità di inondazione, cui è associato un tempo di ritorno della piena di 50 anni.
Attribuire a queste aree la funzione di parco urbano ne assicura un utilizzo compatibile con la possibilità di evento alluvionale, in quanto in tal modo si garantisce il mantenimento di una superficie naturale, libera da processi di urbanizzazione, e si contiene il livello di rischio nell’area.
Il sistema dei parchi lineari che si propone valorizza le esistenti depressioni del terreno dotate di copertura vegetale, di profondità variabile tra 1 e 2 metri permettendo un allagamento guidato in caso di piena nel momento in cui la portata idrica dovesse eccedere la capacità di smaltimento dell’alveo, alleggerendo così il carico delle acque di piena prima che queste arrivino al centro abitato. L’evento di piena sarebbe così gestito nell’ambito di un equilibrio dinamico naturale con accumulo temporaneo e graduale smaltimento, al termine dell’evento stesso, tramite l’assorbimento da parte del terreno e l’evaporazione.
La peculiarità del parco è quella di essere uno spazio duale, che mitiga il rischio idrogeologico fungendo da area di laminazione e, al contempo, si offre come spazio pubblico, dotato di attrezzature mobili e non, che permette di sfruttare appieno questa grande estensione di terreno per la maggior parte del tempo, ovvero quando non vi siano condizioni meteorologiche avverse.
Si ritiene comunque che l’assorbimento nelle acque meteoriche e fluviali nel terreno debba essere sensibilmente incrementato, sia con interventi nell’alveo, sia con asportazione delle superfici asfaltate o cementate (piazzali industriali, slarghi stradali e urbani, ecc.) che producono scarichi concentrati e repentini e tendono ad enfatizzare le criticità in caso di eventi meteorologici estremi.
Dovrebbero inoltre essere eliminati i sottopassi e i seminterrati allagabili nelle zone a rischio e dovrebbe essere portato avanti con celerità il processo di elaborazione di un PUC adeguato al PPR e al PAI, che escluda definitivamente edificazioni in zone a rischio di frane o alluvioni, e nelle aree costiere.
Il rapporto è pubblicato nel sito Osservatorio Nazionale Città Clima, questo il link: https://cittaclima.it/2020/11/17/olbia-citta-dacqua-ha-urgente-necessita-di-essere-messa-in-sicurezza-da-possibili-altre-alluvioni/, e verrà presentato a livello nazionale il prossimo 25 novembre.