Bruzzone: “Vi spiego quali sono le nuove frontiere della violenza sulle donne”
Dal 1999 ogni anno, il 25 novembre, si celebra una ricorrenza fondamentale per il progresso della nostra società: la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ventuno anni fa per sensibilizzare Governi, istituzioni e persone comuni sul terribile fenomeno trasversale della violenza sulle donne, quotidianamente vittime di abusi, molestie, fenomeni di stalking e aggressioni fuori e dentro le mura domestiche.
In 21 anni dal quel lontano 17 dicembre 1999, il fenomeno della violenza sulle donne è stato riconosciuto a livello planetario, sia nel “ricco occidente”, sia – benché in misura minore – nelle altre Nazioni.
Eppure, guardando alle notizie di cronaca, la strada verso una reale parità di genere sembrerebbe essere ancora molto lontana. Ne parliamo su In Terris con un’esperta: la criminologa investigativa e psicologa forense Roberta Bruzzone.
La dottoressa tratta di violenza sulle donne da due decenni: ha lavorato nei casi più complessi e spinosi della cronaca nera italiana degli ultimi 20 anni. Due su tutti: la strage di Erba e il delitto di Avetrana. A lei la giornalista Milena Castigli chiede quanto e cosa sia cambiato in Italia da quel lontano 1999.
L’intervista alla Dottoressa Bruzzone
Dottoressa Bruzzone, quanto è importante il fatto che le Nazioni Unite dedichino una Giornata alla violenza sulle donne?
“È importante che ci sia una giornata simbolo, ma certamente non è sufficiente a far cambiare davvero le cose. Bisognerebbe far sì che tutti i giorni fosse il 25 novembre! Ma i risultati sono ancora insufficienti, come leggiamo dalle cronache quotidiane. Infatti, i casi di maltrattamenti, così come quelli di femminicidi, sono decisamente tanti. Il 25 novembre è una giornata simbolo, ma non è sufficiente per uscire dalla spirale della violenza di genere che inizia, lo sottolineo, tra le mura domestiche”.
Lei ha una lunga carriera come criminologa investigativa e psicologa forense. Secondo la sua esperienza, come è cambiata la violenza di genere negli ultimi 20 anni? Possiamo dire che oggi si denuncia più di ieri?
“No! Purtroppo non è cambiato assolutamente nulla in modo significativo. Abbiamo sempre grandi difficoltà a portare le donne a denunciare gli uomini maltrattanti. All’incirca, solo due casi su dieci arrivano all’attenzione dell’autorità giudiziaria. Questo significa che l’80% dei casi rimane sommerso. Ci sono ancora troppe donne che subiscono in silenzio. E ci sono ancora migliaia di bambini che assistono alle violenze domestiche quotidianamente. In alcuni casi, queste vittime innocenti non vengono neppure ascoltate o credute da quegli adulti che dovrebbero tutelarli. In venti anni le cose non sono cambiate in meglio, purtroppo”.
“I numeri non lasciano dubbi – prosegue la dottoressa Bruzzone. – Dal 2000 sono più di 3mila le donne morte ammazzate per mano del compagno. Moltissime di loro erano madri. Dunque, nella grande maggioranza dei casi, i figli hanno dovuto assistere all’omicidio della propria mamma per mano del proprio padre. Ma non ci sono solo le storie che finiscono in tragedia. Il numero di maltrattamenti fisici e psicologi all’interno delle mura domestiche è terribile: non possiamo neppure quantificarlo perché tanti casi non vengono denunciati. Parlare di un miglioramento negli ultimi 20 anni è dunque davvero fuorviante”.
Pensa che, per frenare il fenomeno, sarebbe utile inasprire le pene?
“No, inasprire le pene non servirebbe: è già stato fatto e le cose, come visto, non sono migliorate. Non possiamo pensare che siano l’autorità giudiziaria e le forze di polizia a risolvere il problema. Inoltre, vorrei sottolineare come, in molti casi di femminicidio, l’assassino poi si toglie la vita. Non ha dunque nessun interesse alle pene previste o alle conseguenze legali dei suoi atti”.
Qual è dunque la chiave per comprendere questo terribile fenomeno?
“Il problema della violenza sulle donne è di tipo culturale. Bisogna dunque lavorare sulla parità di genere modificando i modelli educativi all’interno della famiglia italiana. Il vero campo di battaglia non è la scuola, né l’ambiente di lavoro, né il carcere… ma il focolaio domestico. Ricordo che lo stereotipo di genere si forma infatti in famiglia entro i primi due, tre anni di vita. La scuola ha comunque un ruolo importantissimo, centrale, ma comunque secondario alla famiglia che è il primo modello educante della società”.
Non è facile cambiare dal di dentro le famiglie, nelle quali spesso è difficile anche entrare…
“Sì, è molto difficile. Ma se non riusciamo in questo ‘miracolo’ continueremo a parlare di violenza sulle donne anche nei secoli a venire. Contando i morti”.
Quali sono le nuove frontiere della violenza sulle donne?
“Le nuove frontiere sono sicuramente quelle che passano per internet: dal revenge porn al cyberstalking, dal cyberbullismo alle minacce, dalle diffamazioni agli attacchi sessisti fino ai veri e propri abusi e violenze. Tutto oggi corre sul web: tramite social e tramite chat”.
“Proprio oggi ne parlo in modo approfondito intervenendo alle 18:00 alla videoconferenza in diretta Facebook “La violenza contro le donne al tempo di internet”, organizzata dal comune di Senigallia”.
“La seconda deriva sociale – prosegue la nota criminologa – è quella legata al mondo apparentemente dorato dei festini. Luoghi chiusi dove girano fiumi di droga e dove queste ragazze, anche minorenni e senza una reale capacità di comprenderne il pericolo nascosto, vengono circuite e rischiano sevizie e violenze inaudite. Compresa la possibilità di venire poi ricattate con lo spauracchio della divulgazione delle immagini delle violenze subite.
La recente triste vicenda della ragazza segregata e torturata al festino di Alberto Genovese è solo l’ultimo episodio, ma di certo non il primo. Accade sin troppo spesso purtroppo”.
Quale augurio farebbe oggi alle donne e, in particolar modo, alle giovani donne affinché non siano mai vittime di violenza?
“Alle donne, giovani e meno giovani, raccomando di avere stima di se stesse! L’autostima è di certo la strada maestra per evitare di cadere nella spirale della violenza di genere. Ragazze: imparate davvero a credere in voi stesse, a puntare sulle vostre qualità, sulle vostre risorse e sull’autonomia. Grazie a voi, avere un mondo più giusto è possibile!”.