“Noi vogliamo che le donne lavoratrici siano liberate dalla miseria che le costringe a lavorare per 50 lire al giorno. Io mi sono sentito offeso quando ho sentito denunciare questo fatto, noi tutti ci sentiamo offesi e con noi tutto il popolo lavoratore italiano…Che cosa vogliono le donne lavoratrici d’Italia? Vogliono il riconoscimento effettivo dei loro diritti […], far penetrare la luce del benessere, della serenità, dell’amore, della felicità, nelle case più umili, perché non vogliono che anche la felicità, anche l’amore, anche il godimento della serenità familiare sia un privilegio di casta, ma sia un diritto di tutti.
Vogliamo liberare le famiglie italiane dai tuguri, dalle grotte, dalle abitazioni malsane, dagli scantinati, dagli appartamenti senza luce, senza sole, senza aria. […]” (Giuseppe Di Vittorio, Discorso alla Conferenza nazionale delle donne lavoratrici, Firenze, gennaio 1954)
Di Vittorio esprimeva verità apparentemente ovvie ma rivoluzionarie per i suoi tempi e assolutamente impopolari tra i draghi delle lobby: “È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? È giusto questo? … Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso. […]”(Giuseppe Di Vittorio, “Ultimo discorso pronunciato al convegno dei dirigenti e degli attivisti della Camera del Lavoro di Lecco”, 3 novembre 1957)
Al giorno d’oggi ci si chiede quanto sia rimasto di un simile insegnamento dal momento che le condizioni dei lavoratori diventano sempre più precarie e di adeguamento delle retribuzioni non se ne parla se non in fase elettorale. La scuola è uno dei settori in cui è più tangibile lo spartiacque tra funzioni e retribuzioni: da una parte alti funzionari; ispettori; dirigenti scolastici, i cui stipendi hanno visto un concreto miglioramento nell’ultimo periodo, dall’altra, insegnanti e maestri, per i quali sono stati stanziate somme miserevoli.
Si chiedono sacrifici, salti mortali, acquisizione ipervelocizzata di competenze e conoscenze digitali, incremento di responsabilità civili e penali, ma senza nessuna forma di compensazione.
Eppure come sosteneva Di Vittorio: “Il benessere generalizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare che da un maggiore sviluppo dell’economia nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggiore arricchimento del Paese, oltre che da una più giusta ripartizione dei beni prodotti.” (Diritto di associazione e ordinamento sindacale. Testo della relazione presentata da G. Di Vittorio alla III Sottocommissione dell’Assemblea costituente, ottobre 1946)
Il CNDDU propone una lettura del sindacalista pugliese all’interno del percorso storico che lo ha visto tra i protagonisti dell’antifascismo e dell’Assemblea costituente, da sviluppare nell’ambito dei moduli di Educazione civica in relazione alla storia dell’associazionismo e della lotta per i diritti di sciopero, di rappresentanza e pluralità sindacale.
“La Repubblica italiana è nata. Essa è sorta dalla volontà della maggioranza del nostro popolo. Un grande passo è stato compiuto, sulla via della costruzione di un nuovo Stato, veramente democratico, di uno Stato popolare che garantisca al popolo la libertà ed ai lavoratori la giustizia sociale, un più alto tenore di vita ed un livello più elevato di civiltà. […]” (Giuseppe Di Vittorio “Il Lavoro”, 8 giugno 1946).