Infodemia, anche l’informazione va curata
L’infodemia è la diffusione di una quantità sovrabbondante di informazioni, soprattutto in Italia, peculiare di questi mesi di pandemia, spesso veicolate con eccessiva premura per battere, sul tempo, la concorrenza. Molte notizie risultano false o, quantomeno, poco veritiere, non supportate da studi o fonti attendibili. A volte, la definizione di “infodemia”, derivata dai due termini “informazione” ed “epidemia”, è sostituita da una locuzione altrettanto significativa: bulimia informativa.
Il 2020 è stato contrassegnato, in tutte le fasi della disgrazia, da questo ulteriore flagello che ha generato sottovalutazione, timori infondati e comportamenti errati pur in piena buonafede.
Informazioni e fake: il confine sottile
Il paradosso è che l’infodemia ha aggiunto altra confusione a una situazione già articolata e complessa, costringendo, in qualche modo, a trovare una cura anche per essa, oltre a quella auspicata per il virus. A mettere in guardia dai pericoli derivanti da un sovraccarico informativo, viziato da fake news, sin dal mese di febbraio scorso (fase iniziale della diffusione del virus), è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’OMS, infatti, accanto al pericolo sanitario, non sottovalutava quello informativo. Il paradosso è come, in un vortice infinito di informazione, il fruitore rimanga, tuttavia, privo di certezze o di spiegazioni ben definite. Il richiamo, infatti, è rivolto a un discorso quantitativo che, da solo, non può risolvere, in luogo di quello qualitativo, il giusto fabbisogno di notizie.
Infodemia: il problema della gestione
La libertà di informare e di informarsi non si realizza attraverso una dimensione puramente quantitativa. Nel mare magnum della falsa notizia o dell’allarmismo pressoché impuniti, l’infodemia risulta largamente composta da clamorose “inesattezze”, veicolate in modo rapido anche con il tam tam dei social.
La scorsa estate è uscito un libro dal titolo “#Zonarossa. Il Covid-19 tra infodemia e comunicazione”, edito da goWare e Edizioni Angelo Guerini e Associati, in cui gli autori, Lelio Alfonso e Gianluca Comin (giornalisti ed esperti di comunicazione), affrontano il problema della gestione dell’informazione sin dal lockdown. Oltre ad analizzare un piano informativo così complesso e articolato, mai avvenuto prima, Alfonso precisa come nel terremoto mediatico, istituzionale e sociale (che ha disorientato anche l’opinione pubblica), l’Italia sia stato il Paese maggiormente colpito.
L’informazione in numeri
È interessante valutare l’impatto, la struttura, i dati (e la risposta del pubblico) nel momento peggiore della pandemia, quello dell’inizio del lockdown. Un rapporto apparso sul sito dell’Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali) lo scorso 8 aprile, rilevava quanto segue:
“Con l’avvio dal 9 marzo delle misure di quarantena, davanti ai Tg del prime time si è radunato un pubblico assai più vasto e coinvolto. Tra l’ultima settimana di febbraio (24-28 febbraio) e quella di marzo (23-27) si registra il passaggio da un’audience media di circa 19 milioni e 100mila telespettatori a ben 24 e 400mila, per una crescita complessiva di 5 milioni e 300 mila, ossia del 28%. In termini di numeri assoluti, ad avvantaggiarsi di questo nuovo pubblico serale sono stati Tg5, Tg3 e Tg1, che guadagnano rispettivamente 1,36 milioni, 1,17 milioni e quasi 900mila telespettatori. Inquadrando invece la crescita dell’audience per ciascuna testata rispetto al periodo precedente, a trionfare sono Studio Aperto, Tg3 e Tg4, con la testata di Italia Uno che guadagna più di mezzo milione di spettatori (+54%), mentre per le altre due si registrano un +45 e +40% di pubblico rispetto all’ultima settimana di febbraio”.
Lo stesso Istituto fornisce, con dati attuali riferiti al periodo 9-13 novembre, attraverso un areogramma, gli spazi concessi dai Tg alle varie categorie. Lo spicchio più grande (34%) è stato riservato agli “interni”, il 20% alla “politica”, 16% “esteri”, 14% “cultura e società”, poi “economia” al 7%, 5% “cronaca”, 4% “sport e varie”. La falsa informazione, abbinata a un’offerta quantitativa enorme, rischia, soprattutto in tema sanitario, di provocare delle gravi conseguenze: non rappresentare la realtà e porre in difficoltà le istituzioni e i cittadini nell’intervenire con le misure e gli accorgimenti corretti, alterando, a volte con una sottovalutazione, altre con un’esasperazione, il livello di attenzione e di vero pericolo.
Informazione e tempi odierni
Il “tutto e subito” tipico della società moderna ha coinvolto anche la comunicazione, per cui la velocità e la sintesi del dato o della notizia sono prevalenti rispetto ad altre analisi. Tale disponibilità così immediata e ampia si ingigantisce attraverso una sorta di dipendenza del fruitore e un correlato timore e senso di colpa (per alcuni), nel caso specifico, di rischiare il contagio per non essersi informato a dovere. È importante uno dei tanti richiami di Papa Francesco a proposito dei media e della comunicazione troppo settoriale:
“Un’informazione che non cada nelle contrapposizioni sterili, nella superficialità, nel chiacchiericcio. Un’informazione che non si accontenti di descrivere solo ciò che è già sotto i riflettori, che non dimentichi le situazioni drammatiche delle quali nessuno parla, e che non si stanchi di raccontare con delicatezza e umanità le storie delle persone, con particolare attenzione agli indifesi, agli ultimi, agli scartati, a quelli che non hanno potere”.
Dopo il Covid
Come in ogni rapporto bilaterale di causa ed effetto, occorre evidenziare le due posizioni: la valanga informativa esiste perché c’è un pubblico pronto ad accoglierla e a seguirla; se non ci fosse, l’infodemia sarebbe limitata o non esisterebbe. Il dovere di informare si scontra con un tambureggiare mediatico che non allenta la morsa a livello mentale e, in alcuni casi, tende a far sprofondare il soggetto in uno sconforto maggiore, a uno stato d’ansia e di paura, collegato a fobie infondate e alimentate, in molti casi, dalla solitudine.
Danni collaterali
Occorre “difendersi” e, dinanzi a un’overdose informativa sullo stesso argomento, dopo aver soddisfatto le proprie lacune e attinto alle ultime notizie nella giusta misura, dirottare il proprio ascolto verso altre offerte o interrompere del tutto. La “seconda ondata” del Coronavirus ha riproposto una nuova fase di infodemia.
Sarà importante valutare, dopo la tanto agognata sconfitta del Covid-19, se i danni collaterali della bulimia informativa permarranno e in quale misura, se l’attenzione dell’opinione pubblica sarà ancora rapita dal bisogno di notizie. Sarà utile capire se tale esigenza rimarrà e si sposterà su vari temi, allargando e promuovendo la conoscenza, la cultura e la voce di ognuno o se sarà stata solo frutto di un evento mediatico clamoroso, senza precedenti, per tornare, poi, in quella che era una sorta di “anoressia informativa”.
Marco Managò (Interris.it)