Nella sua opera più celebre, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, è riportata la frase che decreta contemporaneamente la fine dell’approccio filosofico alla scienza e la fine del sistema tolemaico: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente la parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.
Poiché questa affermazione avrebbe potuto essere fraintesa, il fumantino Galileo scrisse, nella Lettera a Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana, anche le istruzioni per l’uso del metodo. Probabilmente, infervorato dalla grandezza delle conclusioni a cui era giunto, si fece prendere un po’ la mano dall’entusiasmo e, visto che c’era, dichiarò anche guerra alla chiesa. Così, in un colpo solo, uccise contemporaneamente Aristotele e Dio. La frase incriminata è la seguente: “pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante”.
In poche parole, Galileo afferma che per descrivere i fenomeni naturali la fede e la filosofia non servono, bisogna ricorrere alla “sensata esperienza” e alle “necessarie dimostrazioni”, ovvero a quei metodi che nei testi moderni prendono il nome di metodo deduttivo e metodo induttivo. Le conclusioni che si traggono da questo metodo non debbono essere messe in dubbio anche laddove le Scritture affermano il contrario. Il tutto preceduto da una parola che viene ancora usata beffardamente per esporre un’idea senza esporsi alla gogna: pare. Di solito funziona, tranne quei casi in cui c’è di mezzo la Santa Inquisizione…
Perché scomodare addirittura l’anima tormentata di Galileo, che già in vita aveva avuto i suoi tormenti con l’aldiqua, per parlare della logica data driven? Perché, in qualche modo, nella descrizione del cimento (esperimento) in cui vengono sintetizzati i risultati della sensata esperienza riguardante il moto di un corpo lungo un piano inclinato, vengono gettate le basi non solo per interpretare i fenomeni naturali ma per descrivere qualsiasi tipo di fenomeno. In poche parole, l’esperimento galileiano attraverso il quale si dimostra la teoria del piano inclinato passa attraverso 4 fasi: l’osservazione, la rilevazione dei dati per mezzo della misura, l’analisi e le conclusioni.
Praticamente, gli stessi passaggi necessari a un manager per prendere delle decisioni consapevoli. Supponiamo per assurdo, molto per assurdo, che un Galileo dei giorni nostri, un po’ meno arruffone di CarCarlo Pravettoni, sia chiamato a decidere se mantenere aperta la sede di una certa azienda, se erogare un servizio di assistenza informatica h24, o come riallocare il personale rispetto allo smart working, o ancora come ottimizzare gli spazi, valorizzare il personale o definire in modo imparziale eventuali avanzamenti di carriera. Sicuramente, per evidenziare l’importanza dei dati a supporto delle decisioni, Galileo scriverebbe un trattato, sotto forma di dialogo, tra Salviati, il sostenitore del cambiamento, e Simplicio, quello resistente e ancorato alle vecchie dinamiche lavorative.
Salviati: Continuar così è da dementi, lo mondo intorno a noi è cambiato e mi dolgo che tu non ne favelli.
Simplicio: Lo mondo ha sempre funzionato così.
Salviati: Lo germe maligno di Arisotele ti fa proferir bestemmie… la natura “ha sempre funzionato così”, non l’umano e insulso mondo
Simplicio: Io dico che lo sommo manager perderebbe il controllo dei dipendenti, se si attuerebbe lo smart working.
Salviati: Attuasse, Simplicio, attuasse… A parer mio, lo sommo manager ha paura di cambiare perché vuol mantener lo magno potere.
Simplicio: Lo magno potere regola lo mondo.
Salviati: C’è mondo e mondo! Lo mondo sensibile è regolato dallo magno potere della natura. Lo mondo di carta è regolato da quel coglion poter di quei che portan toga. E io ne scrissi, di questi sventurati… Questi dottor non l’han mai intesa bene, Mai son entrati per la buona via, Che gli possa condurre al sommo bene. Perchè , secondo l’opinion mia, A chi vuol una cosa ritrovare, Bisogna adoperar la fantasia, E giocar d’invenzione, e ‘ndovinare;
Simplicio: Dio solo sa quanto lo cambiamento fa paura.
Salviati: L’uomo creò dio a sua immagine, per spiegar quel che intender non sa. Questo par che c’insegni la natura, Che quand’un non può ir per l’ordinario, Va dret’a una strada più sicura. Lo stil dell’invenzione è molto vario, ma per trovar il bene io ho provato che bisogna proceder pel contrario: cerca del male, e l’hai bell’e trovato. Però che ‘l sommo bene e ‘l sommo male s’appaion com’i polli di mercato.
Simplicio: Mi confondi, maestro, col tuo eloquio…
Salviati: Lasciamo stare lo poter togato, io mi rivolgo all’uom più che intendente e con buona veduta d’orizzonte. Perché degli altri dissi apertamente Se tu gli tasti, o son pieni di vento, O di belletti o d’acque profumate, O son fiascacci da pisciarvi drento. Dammi lo dato d’ogni dipendente, affinché io possa con certezza, promuovere o bocciare chiaramente.
Simplicio: Lo dato ce l’abbiamo frammentato, così da favorir la simpatia e spesso seppellire l’intelletto. La colpa non è mia, ma del togato colpevol d’ogni frode e d’ogn’inganno. Si vede chiaro che n’è sol cagione insieme allo maligno sindacato.
Salviati: Mi dici che dovrei avere intorno, al posto di un esercito pensante, masse di invertebrati perdigiorno?
Simplicio: Lo volere dell’uomo è irrazionale.
Salviati: Lo mio volere è la verità e l’uomo preferisce la menzogna.
Un dialogo simile, coi dovuti adeguamenti lessicali, non sarebbe affatto surreale anche perché alcune frasi sono state scritte realmente da Galileo nel Capitolo contro il portar toga, un sonetto lungimirante e futuristico che inizia descrivendo la cecità di colui che cerca il sommo bene laddove non esiste.
Mi fan patir costoro il grande stento,
Che vanno il sommo bene investigando,
E per ancor non v’hanno dato drento.
E mi vo col cervello immaginando,
Che questa cosa solamente avviene
Perchè non è dove lo van cercando
Un manager galileiano che abbia il coraggio di adottare un metodo pseudoscientifico per affrontare l’ingrato compito di prendere le decisioni più adeguate ai problemi, dovrebbe in primo luogo osservare a lungo le dinamiche lavorative, studiare i processi e conoscere a fondo le caratteristiche del personale. Anzi, no, in primis dovrebbe contornarsi di persone fidate e competenti. Dopodiché, a seguito di un’attenta analisi degli obiettivi, strategici e non, potrebbe suddividere l’organizzazione in aree. Senza entrare nel merito delle specificità che ogni realtà aziendale possiede, si possono elencare alcune macro aree comuni più o meno a tutti i settori.
- Economica
- Logistica
- Produttiva
- Risorse umane
- Informatica
Ciascuna area contiene ovviamente delle specificità, alcune delle quali sono comuni a molte realtà. L’area economica comprende le spese, i bilanci e gli Investimenti, la logistica comprende le sedi, gli spostamenti e il patrimonio, le risorse umane comprendono la gestione delle carriere, la formazione, il benessere lavorativo, le competenze, la pianificazione dei abbisogni professionali e formativi, et cetera, et cetera.
I settori di un’azienda sono connessi strettamente tra loro. Come si fa, per esempio, a decidere se mantenere una sede, se costruirne una nuova o se ottimizzare gli spazi esistenti, ricorrendo a un utilizzo consistente dello smart working? Si fa col metodo galileiano: misurando, raccogliendo i dati, analizzandoli, rappresentandoli attraverso grafici e tabelle, per capire quel è la soluzione migliore e facendo una scelta consapevole, quella che, nella maggior parte dei casi, non deriva dalle sensazioni personali ma dalla razionalità. In ogni organizzazione esiste un patrimonio enorme e inutilizzato di dati e informazioni. Purtroppo, molto spesso c’è da fare una distinzione tra i dati disponibili quelli “potenzialmente” disponibili. Per esempio, sarebbe relativamente semplice adottare delle politiche consapevoli e indipendenti sul personale, se si avesse a disposizione una base dati integrata in cui far confluire tutte le informazioni riguardanti i lavoratori.
Tutte le informazioni non significa il nome, il cognome e il numero di matricola, significa integrare all’anagrafica le competenze, gli stili di lavoro, le conoscenze, la formazione, l’eventuale anzianità (tanto cara ai sindacalisti) e la storia lavorativa; significa disporre di una banca dati dei curricula aggiornata e indicizzabile dai moderni sistemi di ricerca; significa, misurare gli obiettivi raggiunti, le capacità e le specificità individuali e disporre di pannelli di sintesi efficaci per capire i processi lavorativi all’interno dei quali è inserita una certa risorsa o avere un sistema di rating per definire autonomamente, senza vincoli e pressioni esterne, eventuali avanzamenti di carriera.
Quali sono, dunque, gli ostacoli a una gestione consapevole del lavoro? L’ostacolo maggiore non è di natura pratica ma teorica: i dati non mentono e usarli significa privare i decisori dell’arbitrarietà di una scelta malevola. Le scelte razionali fanno paura perché costringono a prendere atto della realtà, eliminando qualsiasi forma di distorsione e di falsa narrazione. I dati possono far emergere criticità e specificità che vengono ignorate a seguito della scarsa conoscenza, dell’arroganza o, peggio, a favore di decisioni poco trasparenti. I dati dicono la verità laddove potrebbe esserci la necessità di mentire.
I dati minacciano fortemente la possibilità di comandare senza possibilità di replica, di scegliere a proprio piacimento e di imporre delle regole assurde dettate dai gusti e dai capricci personali, per questo vengono ignorati all’interno di molte istituzioni pubbliche, laddove l’efficienza non è strettamente connessa alla produzione. Un’organizzazione che ignora i dati ha paura della verità e, per funzionare, ha bisogno di creare una realtà basata sulla menzogna. E chi si muove?, direbbe Galileo, se si trovasse in una situazione simile.
Di Alessandro Capezzuoli, funzionario ISTAT e responsabile osservatorio dati professioni e competenze Aidr