Oggi, 21 novembre, tutti i Reparti del Comando Provinciale di Sassari hanno celebrato la Virgo Fidelis, patrona dell’Arma dei Carabinieri.
Il Comando Provinciale ha celebrato la ricorrenza con una Santa Messa presso la Parrocchia “San Giovanni Bosco” di via Washington, a Sassari, mentre tutte le Compagnie distaccate ed il Reparto Territoriale di Olbia hanno organizzato celebrazioni analoghe nelle giurisdizioni di competenza.Quest’anno, a causa delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, non è stato possibile estendere l’invito alle altre Autorità né alle famiglie o al pubblico, ma numerosi sono giunti i messaggi augurali.
Sotto il nome di “Virgo Fidelis” la Vergine Maria è divenuta Patrona dell’Arma dei Carabinieri dall’11 novembre 1949, data di promulgazione del Breve relativo di Papa Pio XII, che in tal senso aveva accolto il voto unanime dei cappellani militari dell’Arma e dell’Ordinario Militare per l’Italia.
Il titolo di “Virgo Fidelis” era stato sollecitato in relazione al motto araldico dell’Arma “Fedele nei secoli“.
La ricorrenza della Patrona è stata fissata dallo stesso Pontefice il giorno 21 del mese di novembre, in cui cade la Presentazione di Maria Vergine.
La preghiera del Carabiniere alla “Virgo Fidelis” è dell’Arcivescovo Carlo Alberto Ferrero di Cavallerleone, che nel 1949 era Ordinario Militare.
“Dolcissima e gloriosissima Madre di Dio e nostra, noi Carabinieri d’Italia, a Te eleviamo reverente il pensiero, fiduciosa la preghiera e fervido il cuore!
Tu, che le nostre Legioni invocano confortatrice e protettrice col titolo di “Virgo Fidelis”,
Tu accogli ogni nostro proposito di bene e fanne vigore e luce per la Patria nostra,
Tu accompagna la nostra vigilanza, Tu consiglia il nostro dire, Tu anima la nostra azione, Tu sostenta il nostro sacrificio, Tu infiamma la devozione nostra!
E da un capo all’altro d’Italia suscita in ognuno di noi l’entusiasmo di testimoniare, con fedeltà sino alla morte, l’amore a Dio e ai fratelli italiani. E così sia!“.
È stato scelto il 21 novembre per celebrare la Patrona perché contestualmente si ricorda anche la “Battaglia di Culqualber” della Seconda Guerra Mondiale, quando il 1° Gruppo Carabinieri Mobilitato, che era stato schierato nell’agosto del 1941 a difesa del caposaldo di Culqualber, in Abissinia (l’attuale Etiopia) per contrastare l’avanzata delle truppe inglesi.
Alle 3 del mattino del 21 novembre l’offensiva si scatenò con rabbiosa risolutezza. Il Caposaldo fu contemporaneamente investito da Nord, da Sud e perfino dalle impervie provenienze da Est e da non meno di 20 mila assalitori delle più svariate unità.
I carri armati precedevano le schiere per aprire varchi, gli aerei spezzonavano e mitragliavano, artiglierie e bombarde lanciavano proiettili con ritmo vertiginoso.
Sugli opposti costoni dei “Roccioni” e del «Km. 39», punti nevralgici della battaglia, i Carabinieri della 2a e della 1a Compagnia e della Compagnia zaptiè sviluppavano una formidabile reazione di fuoco incrociato. Sullo sperone del “km. 39” – dove il fronte, inizialmente ritenuto principale, aveva usufruito di maggiori mezzi d’apprestamento – i Carabinieri della 1a Compagnia non abbandonarono neppure un palmo di terreno fino a che, attaccati da tergo dal nemico ormai padrone del Caposaldo, si difesero con furiosi corpo a corpo, nei quali quasi tutti perdettero la vita.
Ben altre vicende si svolsero sul Costone dei Roccioni, dove i Carabinieri ripetutamente sopraffatti, avevano dovuto più volte riprendere le posizioni coadiuvati dai contrattacchi del comandante della difesa.
Fu un succedersi di azioni alterne, durante le quali i Carabinieri, con bombe a mano o a colpi di baionetta, ripristinavano, volta per volta, le posizioni perdute.
Ad un certo punto però, proprio quando la difesa non disponeva più di uomini per rimpiazzare i caduti, il nemico lanciò sullo sconvolto costone nuove forze, sostenute da carri armati penetrati nei valloni laterali e da un massiccio fuoco d’artiglieria. Il nuovo attacco determinò l’irreparabile, essendo ormai ridotti i difensori ad uno sparuto gruppo di superstiti.
Il maggiore Serranti, che era stato ferito e perdeva sangue, si rifiutò di lasciarsi medicare. Disse che la sua presenza galvanizzava i Carabinieri, stimolandoli a persistere nella lotta. Ed i Carabinieri difatti si fecero tutti uccidere piuttosto che cedere.
Intorno al loro comandante, che dava un così alto esempio di virtù militari, essi lottarono con tutte le forze ed ancor più quando videro far di lui scempio da parte del nemico. Il maggiore era ormai morente quando una baionetta gli squarciò l’addome. Alla sua Memoria venne poi concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il Costone dei Roccioni divenne così la «via dei cadaveri» sui quali il vincitore passò, raggiunse il cuore del caposaldo, soverchiò il gruppo di superstiti e spense l’ultima resistenza.
La caduta del caposaldo di Culqualber fu comunicata agli italiani con il Bollettino delle FF.AA. n. 539 del 23 novembre 1941: « … gli indomiti reparti di Culqualber-Fercaber, dopo aver continuato a combattere anche con le baionette e le bombe a mano, sono stati infine sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica avversaria. Nell’epica difesa si è gloriosamente distinto, simbolo del valore dei reparti nazionali, il Battaglione Carabinieri, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato sino all’ultimo i suoi travolgenti contrattacchi all’arma bianca. Quasi tutti i Carabinieri sono caduti».
Per l’epica resistenza di Culqualber la Bandiera dell’Arma è stata insignita di una seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
«Glorioso veterano di cruenti cimenti bellici, destinato a rinforzare un caposaldo di vitale importanza, vi diventava artefice di epica resistenza. Apprestato saldamente a difesa l’impervio settore affidatogli, per tre mesi affrontava con indomito valore la violenta aggressività di preponderanti agguerrite forze che conteneva e rintuzzava con audaci atti controffensivi contribuendo decisamente alla vigorosa resistenza dell’intero caposaldo, ed infine, dopo aspre giornate di alterne vicende, a segnare, per ultima volta in terra d’Africa, la vittoria delle nostre armi.
Delineatasi la crisi, deciso al sacrificio supremo, si saldava graniticamente agli spalti difensivi e li contendeva al soverchiante avversario in sanguinosa impari lotta corpo a corpo nella quale comandante e carabinieri fusi in un solo eroico blocco simbolico delle virtù italiche, immolavano la vita perpetuando le gloriose tradizioni dell’Arma».
Infine, sempre in questa giornata, si ricordano gli orfani dell’Arma, che vengono assistiti dall’ OPERA NAZIONALE ASSISTENZA ORFANI MILITARI ARMA CARABINIERI (O.N.A.O.M.A.C.)
Costituita ed eretta in Ente Morale con D.P.R. n. 1303 del 5 ottobre 1948. La sua origine risale però all’anno precedente, allorché il Comandante Generale dell’Arma, generale di C.A. Fedele De Giorgis, dopo aver nominato una Commissione di studio per concretizzare nella maniera più idonea l’assistenza ai figli dei Carabinieri deceduti in servizio, lanciò un appello a tutti i militari dell’Arma perché rinunciassero ad una giornata della tredicesima mensilità allo scopo di costituire la base finanziaria dell’Opera.
Il primo fondo cosi raccolto ammontò ad oltre 38 milioni di lire, cifra che andò accrescendosi negli anni successivi per entrate stabilite dallo Statuto dell’O.N.A.O.M.A.C. e costituite in via ordinaria dai redditi patrimoniali ed in via straordinaria da volontarie oblazioni, da sovvenzioni, lasciti o donazioni dello Stato, Enti e di privati.
Già nella ricorrenza del primo decennale dell’Opera – celebrato solennemente il 26 ottobre 1958 a S. Mauro Torinese, il cui istituto da solo ospitava 165 ragazzi – ben 473 orfani maschi erano assistiti complessivamente nei vari collegi, mentre 229 orfane erano ripartite in altri e separati collegi, con una spesa annua di oltre 150 milioni. L’assistenza e l’istruzione dei ragazzi era affidata a religiosi di vari Ordini, noti per capacità e benemerenza in tali campi.