“Addio allo Stato, la vera sfida per un’Europa dei popoli”
Guardare oltre la natura economica e materiale dell’Unione Europea si può. Occorre andare alla ricerca di una vera identità politica e culturale, verso un senso d’appartenenza comune a tutte le diversità locali, superando il concetto dominante di sovranismo Statuale.
È questo il monito lanciato nei giorni scorsi dal convegno “L’Europa delle particolarità”, organizzato dall’Istituto Camillo Bellieni di Sassari in sinergia con la Coppieters Foundation di Bruxelles.
Incontro che, in questa edizione, è stato presentato sulla piattaforma online per indagare aspetti apparentemente scontati ma che nascondono problematiche annose che l’UE si trascina fin dalla sua fondazione.
La videoconferenza
L’iniziativa è stata introdotta da Maria Doloretta Lai, presidente Is.Be, assieme al ricercatore Antonello Nasone, rappresentante dell’Is.Be in seno alla struttura organizzativa della Coppieters, e da Michele Pinna, direttore scientifico del Bellieni, che ha illustrato la storia trentennale dell’istituto.
Complesso e pungente, il primo intervento è stato di Giangiacomo Vale, docente di Filosofia politica all’Università Niccolò Cusano di Roma, che ha posto in luce le criticità dell’identità culturale e territoriale europea concentrata sul successo economico, per rimandare a un futuro indeterminato il rafforzamento politico.
“Manca il senso d’appartenenza – ha spiegato –, si dovrebbe guardare al di là della natura materiale e chiedersi cosa significhi essere Europa, che non è una realtà storica ma piuttosto un’idea, una cultura, un modo di pensare e di agire che i popoli europei hanno in comune, ma che non è il risultato dell’interazione o somma tra differenti culture nazionali”.
Anche il docente di Filosofia del diritto Giulio Maria Chiodi, nella sua relazione sui “Popoli, territori, federazione”, ha parlato di un’Europa comune priva di un vero “mito fondativo”.
“Manca un richiamo a valori aggreganti che non siano quelli dello sfruttamento immediato, contingente e finanziario, sul quale le identità non si costruiscono ma si distruggono”, ha spiegato Chiodi. “Non esiste e non è esistito quindi un sentimento d’identità europea, che non può essere costruito per contrattazioni, dati statistici e burocrazia, perché deve venire dal basso, dal vissuto effettivo delle popolazioni. La difesa linguistica in tal senso è stata definita come uno degli elementi identitari fondamentali.
Nel suo intervento sulla “Identità plurale”, il ricercatore Antonello Nasone ha invece approfondito i due concetti dominanti nel linguaggio politico attuale: Sovranismo e Globalismo. Nell’interpretazione dello studioso sassarese, entrambi sono frutto della stessa visione statualistica, nel primo caso concentrata a livello nazionale, nel secondo a livello mondiale nella visione di un iper-Stato.
“Per disarticolare questa matrice comune – ha specificato Nasone – è forse necessario ripensare a un’Europa in cui sia decostruita non solo la nozione di Stato, ma anche di soggetto moderno, e recuperare il rapporto con i territori”.
Ma in che misura l’UE si occupa di valorizzare i diritti umani e fondamentali dell’individuo?
La risposta è arrivata dall’avvocato e ricercatore Attilio Pinna, che ha illustrato ampiamente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. I limiti della Carta starebbero nella sua capacità di applicazione, affidata dai tribunali nazionali degli Stati membri. L’obbligo è quello di garantire uno standard minimo di tutela dei diritti fondamentali, ma ammettendo misure ancora più stringenti da parte dei giudici nazionali.
Sebastiano Mannia, docente di Storia e Antropologia dell’Alimentazione, ha proposto un confronto tra le due realtà isolane più significative del Mediterraneo, la Sardegna e la Sicilia.
“Considerare le diversità di questi singoli Paesi spesso significa parlare di luoghi comuni, di pregiudizi – ha spiegato. – Una matrice identitaria comune potrebbe essere individuata nello spopolamento e l’abbandono. Non a caso è stato citato il paese di Armungia, patria di Lussu, che da qualche anno ha attirato l’attenzione degli studiosi per il virtuoso recupero dell’identità.
L’ex assessore regionale del Veneto Ettore Beggiato ha portato l’esperienza della sua terra, riferendosi all’identità dei popoli come un mosaico formato da tante tessere, e sfatando il mito stereotipato di un Veneto ricco. “Fin dal 1800 – ha affermato – è stata la prima regione italiana per il numero di emigrati. Però sia in Brasile come ad Arborea – ha proseguito – è interessante verificare la capacità dei veneti di mantenere la propria identità e allo stesso tempo di fondersi felicemente con gli abitanti del posto”.
Anche Carlo Lottieri, docente di Filosofia del diritto a Verona, ha stigmatizzato il concetto di potere sovrano di cui in Europa siamo eredi da almeno cinque secoli. “Da più di tre anni – ha spiegato – ci sono cittadini catalani in galera per le loro idee, ma se la battaglia dei catalani riuscisse ad avere successo non verrebbe minata solo la sovranità spagnola, ma l’idea stessa di Sovranità”.
Nelle conclusioni, Michele Pinna ha evidenziato come i limiti formali dell’Unione Europea siano gli stessi degli Stati membri: “No a un’Europa degli Stati così come oggi si configurano, no a un’Europa dei sovranismi statalistici – ha detto Pinna – sì a un’Europa dei popoli, delle culture, delle peculiarità produttive, delle marche identificative comunitarie. Un’Europa tutta da costruire sulla base delle domande che vengono dal basso, alla ricerca di nuovi orizzonti di partecipazione e di libertà. Un’Europa dei patti tra liberi e uguali dove tutti possano essere riconosciuti e riconoscibili”.