Dal dibattito in consiglio Regionale sul DDL Piano Casa sembra sfuggire ai più la drammatica realtà dei cambiamenti climatici in atto. Approfondiamo la questione.
Possibilità di recupero dei seminterrati a fini residenziali, foriero di tragedie.
È non voler prendere atto della realtà delle cose, portare avanti col DDL “Piano Casa” la proposta di riutilizzo dei seminterrati che, in qualsiasi zona urbanistica, a qualsiasi distanza dalla costa, anche con ventilazione e illuminazione artificiali, potranno diventare abitazioni.
Il disegno di legge, su questo punto, rimane in piedi nonostante il dramma di Bitti dello scorso 28 novembre e dimentica evidentemente i 4 morti delle campagne di Arzachena e i 2 a Uras nell’alluvione del 2013.
Si potrà obiettare che la norma in corso di discussione non concede tale possibilità nelle aree a pericolosità idraulica e da frana elevata o molto elevata, ma in un momento in cui gli eventi naturali correlati al cambiamento climatico stanno mettendo in crisi le certezze con cui abbiamo sinora cercato di contenere i rischi per le persone, con quale coraggio apriamo alla quotidianità dell’uso abitativo spazi nati per funzioni secondarie e saltuarie?
Una proposta tristemente indifferente alle voci dei tecnici che chiedono una revisione urgente e un ripensamento dei criteri con i quali classificare il territorio e fare scelte localizzative.
Con i recenti emendamenti il testo è possibilmente peggiorato su questo punto, essendo caduta la limitazione relativa alle zone F nella fascia dei 300 metri dal mare.
Lo scenario è abbastanza chiaro: i seminterrati – spazi dotati di insufficiente qualità abitativa – entreranno più facilmente nel mercato nelle abitazioni a basso costo per noi sardi o di quelle temporanee per un turismo che si accontenta di spendere poco e accetta bassi standard di qualità dell’esperienza pur di stare vicino al mare; un turismo, insomma, che non fa bene alla Sardegna e svilisce l’impegno degli operatori che sanno fare bene ricettività, che la Regione dovrebbe sostenere e valorizzare come biglietto da visita del nostro territorio e non mettere in concorrenza col peggio dell’iniziativa privata. Magari in nero. Si tratta di una straordinaria operazione di dequalificazione del patrimonio edilizio regionale. Tutti dovremmo essere consapevoli che ogni superfetazione, ogni metro cubo di edificato in più, fa diminuire corrispondentemente il valore delle nostre case.
Possibilità di disseminazione di edificazione in agro e suo stravolgimento.
L’articolo prevede che nelle zone urbanistiche omogenee E, cioè agricole, che l’area in cui può essere realizzato l’intervento abbia superficie non inferiore all’ettaro e si consente anche a coloro che non sono imprenditori agricoli professionali e/o coltivatori diretti, l’edificazione di fabbricati a fini residenziali.
Praticamente chiunque potrebbe proporre di edificare in agro. È inaccettabile e antistorico negare la logica produttiva ed ecologica della campagna, e trasformarla in territorio di destrutturazione del fondo agricolo e del suo paesaggio, con la disseminazione di edifici irresponsabili che amplificano a dismisura i costi di urbanizzazione inevitabili (almeno rifiuti, trasporti scolastici, …) impoverendo ancora i bilanci comunali. Un caso particolarmente cialtrone di socializzazione dei costi privati, e di svendita dei “gioielli di famiglia”.
Tra l’altro si tratta di una norma che contrasta fortemente con le tante iniziative (la legge nazionale sui piccoli comuni, legge sui centri storici) proposte per arrestare lo spopolamento dei piccoli paesi dell’interno, fondate in primis sulla ricostituzione della propria identità culturale e territoriale.
E che anche in questo caso il DDL Piano Casa ignora che una nuova strategia per il mondo rurale è stata varata dall’Unione Europea, con imponenti finanziamenti a cui la Sardegna DEVE candidarsi. Ma NON potrà farlo se una legge come questa si muoverà in direzione ostinatamente contraria, antitetica all’idea di una campagna abitata da gente che produce, per non dire delle fasce agricole attorno alle città, potenzialmente trasformabili in ulteriori periferie senza qualità e senza servizi. Infatti è da sottolineare la funzione di presidio del territorio e delle sue caratteristiche ecosistemiche e di assetto idrogeologico che svolgono le moderne aziende agricole e agro-pastorali.
Conclusioni
Contro l’evidenza, la legge propone il rilancio dell’edilizia mordi-e-fuggi, mentre tutti gli operatori del settore sanno che da almeno 10 anni, dalla grande crisi immobiliare del 2008, solo gli interventi di qualità valorizzano l’investimento, mentre il già enorme parco alloggi delle periferie e delle campagne si deprezza e diventa un peso e non un vantaggio per le famiglie. Possiamo sperare nella saggezza dei sardi, che sceglieranno di investire nel recupero e nella riqualificazione sostenibile, già oggi supportate dal vantaggioso Bonus 110% (che ha anche il pregio di fare uscire dal “nero” le imprese), e non in improbabili occupazioni selvagge delle campagne.
Tuttavia, è deplorevole e irresponsabile che in piena crisi climatica si lanci un messaggio sulla possibilità di realizzare migliaia di edificazioni nell’agro e sulla abitabilità di ambienti notoriamente a rischio crescente e imponderabile a causa di eventi estremi sempre più frequenti.