Panvini: “Un percorso iniziato con la firma della Carta di Catania”.
Santanastasio: “E’ una svolta per l’Italia del post – Covid che dovrà ampliare la sua offerta turistica. Fondamentali le tutele, però. Tale strumento normativo potrebbe stimolare anche ricerca, occupazione e un maggior senso di partecipazione nei cittadini del posto, del territorio”.
Dalla Sicilia un modello innovativo di valorizzazione del patrimonio artistico che apre ai privati la possibilità di partecipare alla gestione del Patrimonio Culturale.
“Con un decreto redatto da me rendiamo possibile la piena valorizzazione del cospicuo patrimonio regionale. La “Carta di Catania” è un intervento rivoluzionario, grazie al quale migliaia di beni culturali, spesso non inventariati e conservati nei depositi di musei, gallerie e parchi archeologici della Regione Siciliana, potranno essere finalmente esposti e fruiti da tutti. Inoltre, il dettato previsto dallo stesso decreto e dalle linee-guida che ho firmato prevede che i beni vengano concessi per un tempo prestabilito e solo a determinate condizioni che garantiscano, oltre alla loro piena fruizione, anche azioni di valorizzazione da parte dei concessionari, finalizzate alla promozione e alla loro una piena tutela e conservazione. Non vi è, dunque, alcuna alienazione di beni pubblici che, ovviamente, restano nella proprietà regionale, ma, al contrario, la possibilità di un rapporto sempre più stretto fra pubblico e privato che, rispettando le previsioni del Codice Urbani, abbia lo scopo di investire sulla cultura e restituire dignità e visibilità a opere d’arte poco conosciute, che meritano di essere studiate e portate alla conoscenza di tutti”. Lo ha annunciato Alberto Samonà, Assessore ai Beni Culturali e all’Identità della Regione Sicilia.
Siamo dinanzi ad un fatto innovativo per l’Italia. Dunque la Sicilia si pone come Regione pilota nazionale nella valorizzazione dei reperti conservati in depositi e che ora potranno essere ammirati per la prima volta dall’opinione pubblica. La Carta di Catania, dalla quale ha preso il nome il decreto approvato dalla Regione Sicilia, è il primo documento che in Italia apre alla possibilità di accedere, da parte dell’opinione pubblica alla valorizzazione del patrimonio artistico e storico conservato in molteplici depositi.
Un documento voluto da archeologi e intellettuali siciliani come Rosalba Panvini, già Soprintendente ai Beni Culturali di Catania e importante componente del Comitato Tecnico Scientifico nazionale di ArcheoClub D’Italia, Fabrizio Nicoletti, noto archeologo di preistoria, da Nunzio Condorelli Caff, membro di Sicilia Antica e affermato giuslavorista, e da Mario Bevacqua, Presidente Internazionale dell’Uftaa che è l’Associazione Internazionale degli Agenti di Viaggio.
“Il decreto della Regione in seguito alla Carta di Catania introduce due novità: da una parte sarà possibile ammirare il patrimonio artistico – culturale che è nei depositi e dall’altra prevede l’obbligo per i concessionari di assumere un professionista laureato in discipline attinenti il patrimonio culturale, che assume il ruolo di Conservatore tecnico
Partendo dal concetto che il patrimonio culturale appartiene a tutti – ha dichiarato Rosalba Panvini, già Soprintendente ai Beni Culturali di Catania e attuale esponente di rilievo del Comitato Tecnico Scientifico di ArcheoClub D’Italia nazionale – e non soltanto alle istituzioni, e dalla constatazione che i depositi di beni culturali sono spesso poco consoni al loro scopo, che conservano migliaia di oggetti provenienti da confische a soggetti privati che li detenevano illegalmente, ed ormai decontestualizzati, e altrettante migliaia di reperti archeologici rinvenuti decenni or sono a seguito di regolari campagne di scavo, mai editi, si è ritenuto opportuno individuare norme che disciplinino la gestione dei contenuti di tali spazi al fine di rendere fruibili, almeno in parte, i beni in essi conservati al pubblico”.
Ma ecco nel dettaglio la rivoluzione messa in campo dalla Regione Sicilia come modello per la valorizzazione del Patrimonio Nazionale. Dunque Concessionari privati potranno partecipare alla gestione del Patrimonio Culturale.
“La Carta di Catania invoca i principi sanciti nel Codice dei Beni Culturali del 2004, circa la partecipazione dei soggetti privati nella gestione del Patrimonio Culturale. Questi ultimi potrebbero essere concessionari di beni sopracitati, per un periodo limitato di tempo, qualora posseggano spazi idonei in cui ospitarli, adeguatamente messi in sicurezza ed a fronte della corresponsione all’Amministrazione di servizi riguardanti il restauro di beni culturali – ha proseguito Panvini – la manutenzione degli stessi depositi ed altri interventi da effettuare sempre ed esclusivamente sotto il controllo del personale degli istituti concessionari e secondo le direttive da essi stessi impartite, mentre le soprintendenze restano gli unici organi responsabili della tutela dei beni eventualmente concessi ai soggetti estranei alla P.A.
Per tale fine, gli istituti che conservano nei propri depositi questi beni predispongono, tramite i propri funzionari, appositi elenchi da pubblicare sul sito dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Per la redazione degli elenchi si possono avvalere dei Catalogatori e degli Esperti Catalogatori, ossia di quelle figure professionali assunte per tale compito da una Società di servizi che lavora per conto della Regione; nell’attività possono essere coinvolti studenti universitari, che, in qualità di tirocinanti, anche per preparare le proprie tesi di laurea, operano già da tempo all’interno degli istituti di cultura”.
Assunzione di professionisti laureati in discipline attinenti il patrimonio culturale.
“La novità della Carta di Catania però emerge dal suo articolo 7, in cui è previsto l’obbligo per i concessionari di assumere un professionista laureato in discipline attinenti il patrimonio culturale, che assume il ruolo di Conservatore tecnico. Quest’ultima figura, ovviamente retribuita, dovrà affiancare l’Istituto da cui provengono i beni e la Soprintendenza competente per territorio (che mantiene l’alta sorveglianza sui beni e sulla concessione), sia per vigilare sulla persistenza delle condizioni di salvaguardia dei beni sia – ha concluso la Panvini – sulla corretta applicazione del progetto di valorizzazione proposto dal concessionario e approvato dalla pubblica amministrazione.
Ci si chiederà; ma quanto deve spendere un privato per ottenere eventuali concessioni temporali di beni culturali? Basta pensare ai benefici previsti dall’Art Bonus, per cui non soltanto egli potrà scaricare dalle tasse le somme impiegate per tutte le operazioni, ma certamente ne trarrà una pubblicità indiretta, assolvendo nel contempo al compito di offrire alla pubblica fruizione quei beni che, altrimenti, resterebbero “sepolti”, dato che si parla di beni che oggettivamente avrebbero scarse speranze di lasciare il deposito.
E’ chiaro che, oltre ai privati, anche gli enti pubblici potranno partecipare alla concessione, alle stesse condizioni, che poi sono quelle che normalmente già si applicano in caso di prestiti per mostre ed eventi. Tutto questo contribuirebbe a veicolare, anche al di fuori dei confini della Sicilia, la conoscenza di una parte non certo esigua di un patrimonio culturale, al momento, non fruibile dalla cittadinanza”.
Piena soddisfazione è stata espressa dal Presidente Nazionale di ArcheoClub D’Italia.
“Dunque le garanzie a tutela del patrimonio ci sono. Sarà importante, nell’Italia del post – Covid aprire alla valorizzazione del patrimonio “invisibile” e spesso dimenticato nei depositi di Musei e Soprintendenze regionali. Tutto questo per risolvere quelle criticità strutturali e di personale – ha concluso Rosario Santanastasio, Presidente Nazionale di ArcheoClub D’Italia – che si sono accumulate negli anni con innumerevoli ritardi. L’auspicio è che si possa avviare anche un iter parlamentare e conseguenziale dibattito a livello nazionale. Non è escluso che in questo modo si possano stimolare la ricerca e l’occupazione e sviluppare anche un maggior senso di partecipazione nei cittadini del posto, del territorio”.