Che ci sia un caso Austria lo ha confermato la battaglia sul Recovery Fund. Se alla fine l’Unione Europea è arrivata a un accordo è merito soprattutto della Germania e della Francia. Cioè ai due big favorevoli a un “tesoretto” a fondo perduto destinato al sostegno degli Stati membri maggiormente colpiti dalla crisi Covid. Sul fronte opposto i Paesi rigoristi del centro e nord Europa, contrari al Recovery fund: Austria, Olanda, Finlandia, Svezia e Danimarca.
Il caso Austria
Tra le prese di posizioni più dure sul Recovery Fund proprio quelle del cancelliere nazionalista austriaco Sebastian Kurz. Per far chiarezza sulla situazione ai confini dell’Italia, Interris.it ha intervistato il professor Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi Europea di Roma.
L’intervista al Professor Filippo Vari
“Anche per ragioni economiche, l’Austria ha bisogno dell’Europa, in particolare della Germania, dell’Italia e, più in generale, degli Stati dell’Europa centro-orientale”, spiega a Interris.it il professor Vari.
L’Austria viene descritta come un paese euroscettico. La pandemia ha aumentato la sua tendenza a risolvere in proprio i problemi?
“In realtà, se si dà un giudizio complessivo, si tratta di una rappresentazione non adeguata della situazione austriaca, come è confermato anche dai dati dell’ultimo Eurobarometro. L’Austria è un Paese che da decenni ha sposato la causa dell’integrazione europea. In generale, c’è rispetto per gli stranieri, sia per quelli provenienti da altri Paesi dell’UE, sia per quelli arrivati da Paesi terzi”.
Papa Francesco, ricevendo il premio Carlo Magno, ha esortato i Paesi europei ad affrontare unitariamente le questioni comuni come la gestione dei flussi migratori. L’Austria è un paese storicamente importante per la Chiesa cattolica, perché non accoglie gli inviti del Papa all’accoglienza?
“Anche qui siamo di fronte a una erronea percezione della realtà. Prendiamo gli ultimi dati Eurostat, accessibili su Internet. Nel 2019, in Austria sono state presentate 10.775 domande di asilo (dai cosiddetti “First-time asylum applicants”), in Italia 35.005. Se si rapportano questi numeri alla popolazione – in Austria circa 9 milioni, in Italia circa 60 milioni – si scopre che in Austria le domande sono state 1.216 per milione di abitanti. In Italia, invece, 580 per milione di abitanti, cioè circa la metà”.
Può farci un esempio?
“Ad esempio. per fronteggiare la crisi siriana, tantissime parrocchie si sono organizzate per rispondere all’invito all’accoglienza di papa Francesco. E più in generale, della Chiesa cattolica, ospitando in condizioni dignitose piccoli gruppi di rifugiati. Direi, anzi, che le modalità con cui sono accolti i migranti e i servizi di cui godono in Austria possono essere d’esempio a tanti Paesi dell’Unione Europea. A partire dal nostro”.
L’Europa rischia di essere un gigante economico e un nano geopolitico a causa delle sue divisioni interne?
“Sì. Ci sono ancora tante divisioni. In parte esse sono fisiologiche, soprattutto in una struttura federale come quella che si profila all’orizzonte per l’Unione Europea. Per rendersene conto e avere un utile confronto, è sufficiente vedere ciò che succede negli Stati Uniti d’America. Però il dato preoccupante è che manca una visione di lungo periodo su che cosa vogliamo dall’Europa. Quella visione di lungo periodo che invece i Padri fondatori avevano ben chiara, sin dalla dichiarazione Schuman, che è all’inizio del processo di costruzione di una casa comune europea”.
Quanto influisce la crisi economica sulla crescita di consensi del sovranismo?
“Senz’altro una difficile situazione economica può rafforzare tendenze populistiche. Al tempo stesso l’attuale crisi economica dovuta alla pandemia sta dimostrando l’importanza dell’integrazione europea. I problemi, anche economici, sono così complessi e imponenti da non poter essere più affrontati dal vecchio Stato nazionale. Proprio per questo, da un lato, è importante informare correttamente l’opinione pubblica sul grande contributo che l’Unione Europea dà e può ulteriormente dare per superare la crisi”.
Dall’altro lato?
“È fondamentale che questo processo di rafforzamento dell’integrazione non si attui in maniera centralistica, rafforzando la tendenza già da tempo denunciate da uno dei più acuti studiosi dell’Unione Europea”.
A cosa si riferisce?
“Joseph Weiler, parlava già anni fa dei rischi di un ‘regionalismo a rovescio’. Che ha finito per ‘indebolire la legittimità dell’Unione’ e la coesione della stessa. E ciò, in particolare, quando l’Unione Europea ha cercato di penetrare ‘in aree che sono (o sono considerate come) classiche funzioni ‘di Stato, dotate di valore simbolico’, le quali vanno dal ‘risibile’ (la misura del boccale tradizionale in Gran Bretagna) al ‘sublime’ (il diritto alla vita nel dibattito sull’aborto in Irlanda)”.
Giacomo Galeazzi (interris.it)