Positivi a lungo termine, De Palma (Nursing Up): “Si faccia chiarezza”
«Il DPCM del 24 aprile scorso stabiliva, senza mezzi termini, che dopo essere stati infettati dal virus, per rientrare al lavoro, è sempre necessario il tampone. Questo valeva anche per gli operatori sanitari. Fin qui tutto chiaro e liscio come l’olio. A ottobre, però, precisamente il 13, il Ministero alla Salute ha stabilito, udite udite, che se sono passati 21 giorni dal test positivo e nell’ultima settimana non ci sono stati sintomi, non servirebbe alcun esame per essere liberati dalla quarantena ma solo un attestato della ASL, che viene rilasciato in automatico se trascorre quel termine. Chiunque può immaginare l’effetto bomba di queste disposizioni se applicate ai professionisti della salute.
Si sta creando una situazione contraddittoria e pericolosa – denuncia inviperito De Palma. – Si corre il rischio di affidare al libero arbitrio dei datori di lavoro la possibilità di far rientrare a lavoro un infermiere che può ancora essere veicolo di contagio. Senza la prova certa di un tampone negativo un operatore sanitario non può e non deve stare a contatto con colleghi e pazienti! Serve una normativa chiara che spieghi tutto questo. Assurdo avere nell’arco di pochi mesi due circolari governative che fanno a “cazzotti” l’una con l’altra. Questo è un pasticcio all’italiana e il rischio è sempre quello: 21 Regioni con 21 approcci sanitari diversi. Tutto a discapito della salute del cittadino ovviamente!».
L’antefatto
«Anna, il nome è di fantasia, è una nostra iscritta, una infermiera romana che dal 1° novembre scorso è in isolamento domiciliare. Per ben quattro volte è risultata positiva al tampone del Covid-19.
Anna ci racconta, tra incredulità e amarezza, che sono trascorsi oltre 30 giorni senza sintomi dal suo allontanamento dal lavoro. Per il suo medico curante, quindi, può riprendere una vita sociale e sarebbe anche idonea a tornare in ospedale. Il medico sarebbe pronto a rilasciarle da subito un certificato di idoneità.
Per l’ASL di competenza, e qui elogiamo a nostro avviso il buon senso, Anna non può stare a contatto con i pazienti e i colleghi finché il suo tampone non risulterà negativo.
Una questione delicata che nasconde profonde contraddizioni e che evidenzia la debolezza e la carenza strutturale del nostro sistema sanitario. Una vicenda che apre la strada a riflessioni assai complesse».
Il Presidente del Sindacato Nazionale Infermieri ci porta a conoscenza di continue segnalazioni che stanno arrivando in questi giorni alla segreteria nazionale da parte di colleghi che vivono una situazione simile a quella di Anna, lasciati alla totale mercè di regole che sono tutt’altro che chiare.
«Cosa succederebbe – continua De Palma – se in altre Regioni e/o singole aziende sanitarie non emergesse lo stesso buonsenso che ha ispirato l’azienda sanitaria romana e si decidesse, quindi, di avallare il parere positivo di un medico di base e, quindi, la fine dell’isolamento in modo automatico dopo un determinato periodo di tempo semplicemente senza sintomi, così come dice la circolare ministeriale del 13 ottobre?
Anche la Regione Toscana, qualche giorno fa, si è ribellata a tale contraddizione e ha espressamente indicato che i suoi infermieri, positivi a lungo termine, potranno tornare a lavoro solo ed esclusivamente con un tampone negativo, anche se asintomatici da tempo. Sacrosanto! Ma dove sono le normative chiare e certe, quelle che forniscono un’unica indicazione a tutte le Regioni, e che dovrebbero mettere gli operatori sanitari nelle condizioni di comprendere quale è il giusto percorso da intraprendere indipendentemente dalla regione nella quale operano?
Possibile – si chiede De Palma – che quando si tratta di salute dei cittadini siamo così superficiali?
È già grave, a mio avviso, che un qualsiasi impiegato positivo al Covid, asintomatico da 21 giorni, dopo un periodo di isolamento domiciliare, possa recarsi sul posto di lavoro a salutare i colleghi e riprendere una vita sociale, senza la chiara garanzia di un tampone negativo, figuriamoci se abbiamo a che fare con gli infermieri o con i medici, ovvero professionisti che sono a contatto costante con malati, con soggetti fragili, con colleghi che a loro volta possono essere infettati, ammalarsi ed essere causa involontaria di malattia per altri colleghi e altri pazienti.
Non è possibile che ci si ritrovi, nell’arco di pochi mesi, nell’ambito di una emergenza sanitaria di tale portata, con regolamentazioni così distanti tra loro, che ci fanno sprofondare nell’incertezza. A discapito poi della qualità del servizio sanitario nazionale e della salute degli italiani. Non è tollerabile in un paese civile – conclude De Palma – che un SSN non sia sorretto da regole certe e uniformi, che siano frutto delle azioni concrete di un Governo centrale che non può e non deve giocare a “ping pong” con 21 sistemi sanitari e sui loro differenti approcci al medesimo problema».