Ricordi di Sicilia: quando si nasceva in casa alla fine degli Anni ’50
Siamo alla fine degli Anni ’50 (più precisamente il 5 agosto del 1957) e quasi la totalità dei neonati nascevano in casa. La località è un cortile (Curtigghiu) di Via Ioppolo a Ragusa Ibla. Questo parto è avvenuto in modo concitato. Nell’imminenza del travaglio, in casa Battaglia, si sono allontanati dall’abitazione gli uomini e bambini. Le donne adulte della casa, la nonna Giovanna e Marianna, erano entrate in azione riscaldando grandi pentoloni d’acqua e preparando le varie pezze di stoffa necessarie per il nascituro e la mamma. Al marito Giovanni, l’unica cosa che si chiedeva di compiere era di andare a chiamare la levatrice o la donna esperta del luogo e che si era formata solo dopo una lunga pratica di parti poiché era lei che faceva nascere tutti i bambini del quartiere.
Era arrivato il momento… Giovanni era pronto, a qualsiasi ora del giorno o della notte, per chiamare la levatrice. Il 5 agosto del 1957 fu chiamata la Rosina, la levatrice di fiducia, lei non perdeva tempo. Sapeva quello che doveva fare, grazie alla sua esperienza. Non sempre il parto era facile, anzi. Quando si complicava bisognava correre a chiamare anche il medico. Quest’ultimo veniva interpellato solo in casi estremi, quando la partoriente era in gravi condizioni: nel quartiere degli Archi, ci si è sempre arrangiati alla meno peggio.
La Pina (mia madre) partorì in casa nella camera matrimoniale: era il 5 agosto del ’57. In una mattinata già calda, mio padre Giovanni, dopo essersi accertato che tutto era andato bene, andò subito in Piazza Archi a festeggiare con gli amici di sempre presso il mitico Chiosco di Don Firili. La domenica successiva già ero battezzato, perché si temeva per la sopravvivenza del piccolo Totò (si temeva di finire nel Limbo). In casa si festeggiava con cioccolatini e confetti alle mandorle, offerti in un contenitore con un cucchiaio, si brindava con lo spumante Cinzano.
La culla era molto piccola, in legno decorato a mano, il materassino consisteva in un sacco di lana molto pieno e sulle coperte era steso un drappo il più bello possibile. Il tutto era tenuto fermo con una larga fettuccia di tela che passava negli appositi fori praticati ai lati della culla. La casa, all’epoca, non era molto climatizzata, anzi qualche volta i bambini morivano di polmonite nei primi mesi, soprattutto se avevano la sfortuna di nascere in inverno. Quando si temeva per la vita del nascituro, il battesimo veniva amministrato in casa subito dopo la nascita dalla levatrice e poi completato con la cerimonia in chiesa. Io, per fortuna, nacqui in estate.
Si cresceva senza tanti problemi, non c’erano giochi pericolosi per la salute e si era contenti di vivere con quello che passava il convento, si giocava con poco. Nei cortili e nelle contrade i bambini appartenevano alla comunità ed erano figli e nipoti di tutte le donne presenti, la loro sorveglianza e l’educazione era un fatto corale.
Il Presidente dell’Accademia delle Prefi, Salvatore Battaglia