Superate le 500 firme per la petizione contro la violenza sulle donne
“Perché nessuna mano colpisca più il viso di una donna”: è questo il nome della petizione che, in pochi giorni, ha già raggiunto le oltre cinquecento firme. Lanciata dal CAM Sardegna (Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti), la petizione è rivolta alla Regione Sardegna, al fine di cambiare la modalità di assegnazione dei fondi rivolti ai Centri di recupero per uomini autori di violenza, operanti nel territorio sardo.
Per tutelare donne e minori, il Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti Nord Sardegna, primo centro specialistico in Sardegna per la presa in carico degli uomini autori di violenza nelle relazioni, opera dal 2014 per agire sull’interruzione della violenza, per evitare che l’uomo reiteri il proprio comportamento con le compagne future e con i figli.
Tutto ciò è possibile attraverso l’attivazione di percorsi specifici e strutturati, in linea con gli standard nazionali e internazionali, per ottemperare alla Convenzione di Istanbul, al decreto-legge sul contrasto alla violenza di genere (DL 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) che ha previsto (art. 5) l’adozione di un Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e al Piano Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020, dove come priorità si richiede
“l’attivazione di programmi di intervento per gli uomini autori o potenziali autori di violenza e di dati relativi alla violenza maschile contro le donne”.
In tutto questo, la Sardegna è stata pioniera, approvando la Legge Regionale n. 48/2018 (Legge di Stabilità 2019), dove all’art. 9 – “Interventi rivolti agli autori di violenza di genere e nelle relazioni affettive” – la Regione Autonoma della Sardegna “promuove e sostiene sul territorio regionale, comprese le carceri, la realizzazione di specifici interventi di recupero e accompagnamento rivolti agli autori di violenza di genere e nell’ambito delle relazioni affettive”.
Proprio in questo passaggio, per così dire, dalla teoria alla pratica, la Regione Sardegna ha operato tralasciando le indicazioni contenute nella sua stessa Legge, assegnando i fondi con un bando su principio “competitivo”, con Avviso pubblico, diretto a un solo progetto, a un solo Centro vincitore, negando per conseguenza diretta la possibilità agli altri “Centri già operanti sul territorio regionale”, esclusi dalla vincita del bando, di continuare a garantire il servizio, non potendo beneficiare dei fondi previsti.
Il CAM Sardegna – che a causa di questo accentramento dei Fondi verso un solo vincitore rischia la chiusura, che equivarrebbe all’interruzione dei gruppi avviati con ragazzi e uomini che hanno scelto di intraprendere un percorso di cambiamento dei propri comportamenti – lancia la sua petizione e chiede con forza alla Regione Sardegna di modificare le modalità di assegnazione dei Fondi a CU e di applicare fedelmente l’art.9 della la Legge 48/2018 riportante che:
“La Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale, sentita la Commissione consiliare competente, entro sessanta giorni dall’approvazione della presente legge, stabilisce i criteri per la concessione di contributi diretti a finanziare le attività e le strutture previste dal comma 1 (CU) individua i criteri per stabilire la congrua proporzione tra il numero di soggetti ospitati e il personale necessario per la esecuzione dei servizi forniti e definisce misure e idonei meccanismi di verifica della rendicontazione. In difetto della presentazione della rendicontazione, il beneficiario non è ammesso al finanziamento per gli anni successivi fino a regolare adempimento”.
“La violenza non è un’emergenza per cui basta un DPCM, la violenza è un fenomeno che va affrontato nel suo complesso e nella sua diversità, compresa quella del territorio sardo, che richiede una copertura resa più difficoltosa dai collegamenti. Garantire a tutti i Centri per Uomini del territorio sardo di operare con un’equa distribuzione delle risorse, sulla base della relazione attività, non è che un atto di buona politica e di buonsenso”, afferma la dott.ssa Nicoletta Malesa accompagnata dal suo staff, che conclude: “Continueremo questa battaglia fino a quando non verremo ascoltati e non si procederà con una corretta applicazione della Legge”.