UE: come evitare la radicalizzazione religiosa e del terrorismo sui social con Precobias
Sicuramente il 2020 sarà ricordato come l’anno del Covid e della pandemia mondiale 2.0. Un periodo storico funesto sotto tanti punti di vista. Un anno in cui, tra l’altro, non sono mancati numerosi attentati terroristici che da molti tempo a cadenza periodica si presentano in alcune nazioni europee. Da Parigi a Vienna, la lista degli attentati terroristici del 2020 parla di 10 attacchi di matrice Jihadista avvenuti in Europa. Un fatto che va ad aumentare ulteriormente il clima di forte tensione dovuto allo stato pandemico in corso.
Proprio così, mentre l’Europa viene colpita da ripetuti attacchi terroristici orditi da frange estremiste, nasce il primo report fornito nell’ambito del progetto Precobias, finanziato dalla Commissione Europea per contrastare radicalizzazione e terrorismo attraverso programmi di prevenzione giovanile.
Interris.it ha incontrato la dottoressa Paola Sarugo, responsabile del progetto, per approfondire le dinamiche del progetto e le emergenze sociali.
Qual è l’obiettivo di Precobias?
“La Commissione Europea ha deciso di finanziare il progetto Precobias, coordinato dalla Sicilia, per il contrasto alla radicalizzazione religiosa e del terrorismo. Prima l’’attacco del 25 settembre alla precedente sede francese di “Charlie Hebdo”, poi la decapitazione dell’insegnante Samuel Paty in una banlieue di Parigi e il feroce assassinio nella basilica di Notre-Dame a Nizza di tre persone, infine gli attacchi al centro di Vienna ai primi di novembre.
Nel cuore dell’Europa, anche durante la pandemia, l’estremismo rimane un’attualissima minaccia di estrema gravità, foraggiata dal terrorismo che si alimenta attraverso una massiva attività sui social network. E se almeno il 77% degli adolescenti si è già imbattuto online in contenuti che invocano e incitano a comportamenti violenti, già a novembre 2019 l’Europol dichiarava di avere rimosso dai social network più di 26.000 post riguardanti lo stato islamico”.
Quali sono i principali pericoli per le giovani generazioni?
“Questa che viviamo è solo la punta di un iceberg di pratiche di propaganda sotto copertura di molti estremisti che, sostenendo la violenza senza unirsi ufficialmente a organizzazioni terroristiche, mirano ad attrarre persone già sul punto di radicalizzarsi attraverso messaggi apparentemente banali e neutrali.
Bisogna rafforzare le capacità di pensiero critico di adolescenti e giovani adulti, concentrandosi sui processi mentali che si attivano quando i giovani si imbattono in argomentazioni estremiste online, nasce il progetto europeo Precobias. Ben sei i paesi coinvolti: Italia, Belgio, Germania, Polonia, Slovacchia e Ungheria.
Il lavoro condiviso tra università pubbliche e organizzazioni private ha per capofila l’azienda italiana P.M.F., specializzata in ricerca e sviluppo nel settore dell’Information and Communication Technology, con sede a Catania e facente parte del cluster JO Group”.
A chi è destinato il progetto?
“Non è solo direttamente per i ragazzi, ma è un progetto orientato anche a insegnanti, operatori e assistenti sociali impegnati coi giovani. È finalizzato a raggiungere quelli radicalizzati o a rischio di radicalizzazione attraverso l’offerta di ricerche analitiche pionieristiche e inedite sul fenomeno e l’offerta di strumenti online atti a prevenire la deriva estremista.
La professoressa Catherine Bouko, specialista nell’analisi del linguaggio e della comunicazione presso l’Università di Gand in Belgio, ha fornito nell’ambito del progetto un primo report dopo avere esaminato 3.000 post su Facebook e Instagram da parte di estremisti salafiti. L’analisi ha dimostrato che una percentuale tra il 7 e il 24% dei post in ciascun profilo conteneva una qualche forma di contrapposizione tra i salafiti e altre categorie generiche (non credenti, occidentali, ecc.)”.
Una contrapposizione fondata sul “noi contro di loro”
“Questo programma rappresenta il primo punto di passaggio verso la polarizzazione e, di conseguenza, la radicalizzazione. Dal report, emergono altresì 3 elementi chiave delle argomentazioni salafite, simili alla propaganda dell’auto-proclamato “Stato Islamico”: l’intensificazione di una crisi, richiamando le persecuzioni ai danni dei musulmani e le condizioni dei prigionieri musulmani; la creazione di un’identità collettiva, che fa di prigionieri e terroristi degli eroi cui ispirarsi; l’impossibilità di qualsiasi relazione con “gli altri” per legittimare l’uso della violenza (espressa per lo più solo implicitamente, per eludere gli standard di Facebook e Instagram ed evitare la rimozione dei post). Tecniche di propaganda non esclusivamente prerogativa degli estremisti salafiti, ma identificate anche analizzando 500 post di estremisti di destra”.
A cosa puntano gli islamisti estremisti?
“Usando queste narrative, gli estremisti puntano ad attivare i cosiddetti “bias cognitivi”: non “errori” del cervello in base all’intelligenza, ma meccanismi naturali del pensiero che deviano dalla razionalità e dal giudizio critico. Potenti leve che favoriscono disinformazione, polarizzazione e radicalizzazione che, secondo gli inediti studi condotti nell’ambito del progetto Precobias dalle professoresse Diane Rieger e Brigitte Naderer dell’Università Ludwig-Maximilians di Munich, portano a credere non solo che il gruppo di appartenenza sia superiore agli altri, ma a innescare l’ipotesi del mondo giusto attraverso l’uso della violenza. Per sostenere i professionisti e gli operatori a contatto con i giovani, il progetto Precobias offre inoltre MOOC (Massive Open Online Courses, ossia “Corsi online aperti su larga scala”) e risorse didattiche”.