Docenti e ricercatori dell’Aou di Sassari hanno realizzato un’ampia produzione scientifica, pubblicata anche su riviste internazionali.
Un vero e proprio team che, in questi dieci mesi di emergenza pandemica, oltre all’assistenza medica e infermieristica nei reparti Covid, ha realizzato ricerche originali che sono state pubblicate su prestigiose riviste internazionali. Studi che hanno evidenziato come il Covid-19 non sia soltanto una malattia esclusivamente polmonare ma che coinvolge anche altri organi. E ancora, come attraverso alcuni parametri sia possibile effettuare una stratificazione della gravità dei malati quindi instaurare terapie precoci e adeguate.I protagonisti sono i docenti e i ricercatori dell’Aou di Sassari guidati dal professor Pietro Pirina direttore della Pneumologia diretta, dal professor Alessandro Fois direttore della scuola di specializzazione in Pneumologia, dal professor Sergio Babudieri direttore di Malattie infettive e da Giordano Madeddu docente di Malattie infettive quindi dal professor Ciriaco Carru direttore dell’istituto di Biochimica clinica.
Un contributo in questo sforzo scientifico è stato fornito anche dal professor Angelo Zinellu, associato di Biochimica Clinica, e dal dottor Panagiotis Paliogiannis, specialista in Patologia Clinica, che hanno coordinato e monitorato gli studi in corso, i colleghi specializzandi e strutturati che hanno collaborato direttamente o indirettamente.
«Dall’inizio della pandemia – spiega il professor Alessandro Fois – oltre al grande sforzo quotidiano svolto nella diagnosi e cura dei malati affetti da Sars Cov-2, ci siamo subito impegnati anche in ambito di ricerca scientifica.
In particolare ci siamo interessati allo studio di vari biomarcatori ematologici e sulla loro capacità di predire l’andamento e la prognosi della malattia. Per far questo abbiamo creato una rete di collaborazione che, in un secondo momento, è stata allargata alla collaborazione di altre strutture della regione, come Cagliari, Olbia e Nuoro, così da poter avere dei dati da tutta l’isola».
I risultati degli studi sono stati pubblicati sul Liver International, oltre che sull’European Journal of Clinical Investigation, e sul Molecules.
Le ricerche si sono svolte in due direzioni. Con la prima è stata fatta una revisione critica e una meta-analisi dei dati della letteratura scientifica, inizialmente provenienti esclusivamente da studi cinesi e poi, gradualmente, integrati da dati provenienti da altri paesi del mondo.
La seconda linea seguita da docenti e ricercatori li ha visti impegnati in studi originali ideati, disegnati ed eseguiti da loro stessi. Tra questi quello pensato con lo scopo di identificare dei marcatori ematici che possono aiutare a capire precocemente in ogni paziente quale sarà l’evoluzione della sua condizione, individuando così i casi più gravi e instaurare subito le terapie adeguate, con lo scopo di ottenere più guarigioni possibili.
E ancora, lo studio che ha visto gli autori evidenziare che i pazienti più gravi affetti da Covid-19 avevano livelli di bilirubina più elevati rispetto a quelli con una forma lieve. In quel frangente lo studio ha fatto capire che Covid-19 non era una malattia esclusivamente polmonare, ma che coinvolgeva anche il fegato e potenzialmente altri organi.
Infine, lo studio originale di docenti e ricercatori che ha evidenziato che un biomarcatore di danno epatico, calcolato dai livelli delle transaminasi ematiche e noto come De Ritis ratio, era in grado di predire la mortalità dei pazienti affetti da Covid-19 nel corso del ricovero in ospedale, offrendo un potenziale strumento ai clinici per la stratificazione della gravità dei malati.