Nel 1963 mia madre decise che avrei frequentato le scuole elementari in Collegio dalle Suore del Sacro Cuore di Gesù di Ragusa in piazza Cappuccini, un edificio posto lungo la via che costeggiava la chiesa di S. Francesco, poco lontano dall’ospedale.
Tuttavia, ogni cinque anni, l’insegnamento era affidato a delle maestre religiose di un istituto nei pressi della chiesa parrocchiale.La turnazione stabilì che noi nati nel 1957 avremmo avuto per maestre le suore; fummo divisi in due sezioni.
Quell’anno ci furono delle novità: il nostro grembiule era blu oltremare e non bianco o nero, al posto del fiocco avevamo una cravattina bianca di picchè (piquet) e nell’elenco del materiale da acquistare c’era una penna stilografica, più semplice da usare rispetto al canotto con il pennino; piccole note di modernità che potevano far sperare anche in nuovi metodi d’insegnamento. Ma non fu così.
Fra i miei compagni di classe ricordo Guglielmo uno dei più monelli dell’istituto che compie gli anni il mio stesso giorno, Rocco, Gabriella, Franco, Alberto, Cinzia, Maria Antonietta e Giovanni. In un primo tempo ci fu anche la mia amica Patrizia che poi passò all’altra sezione con madre Ines, dove forse c’era anche Luciana che abitava vicino a noi dalle parti delle case popolari in corso Italia.
IN CRAVATTA
Il primo giorno di scuola la nostra insegnante ci spiegò che non dovevamo chiamarla Maestra ma “Madre”. Aveva un’età indefinibile e l’espressione austera che ispirava soggezione ma quando di rado sorrideva il suo viso si illuminava e diventava quasi bella.
Era la mia maestra! La guardavo ammirato mentre con dei gessi colorati disegnava alla lavagna un’ape che volava sui fiori variopinti. Il maestro Manzi, di cui avevo seguito le lezioni di italiano alla tv, non usava i gessi a colori come lei e disegnava solo in bianco e nero.
Mi avvicinai per dirle che avevo imparato a scrivere le lettere dell’alfabeto. Aspettavo trepidante che mi mettesse alla prova, invece mi squadrò severa e mi rispedì al mio posto. Niente di più. Avrei voluto raccontarle che sull’abbecedario che mi aveva comprato papà c’era la R di Ragusa ma non mi azzardai; capii all’istante che non era aria.
L’educazione e la disciplina erano severissime, le trasgressioni venivano punite con metodi spartani, la Montessori sarebbe impallidita più di una volta. La Madre Maestra usava una squadra di legno (mille usi) per indicare, per ammonire e poi passava fra i banchi con la squadra e chi aveva la gamba fuori posto veniva colpito inesorabilmente. Il Guglielmo e la Gabriella venivano puntualmente colpiti…
Sacro Cuore di Gesù
Nessuno si azzardava a raccontare niente a casa, i nostri genitori avrebbero rincarato la punizione assegnata… i tempi erano quelli dell’ubbidienza assoluta…
Salvo Battaglia