Tra leggenda e tradizione. La storia di Su Coccu
Su Coccu è un amuleto sardo che, secondo l’antica tradizione popolare, servirebbe a proteggere chi lo indossa dalle energie e dagli influssi negativi.
Nelle diverse zone della Sardegna assume nomi differenti (“Su Kokku”, “Sa Sabegia”, “Su Pinnadellu”, “Su Pinnazzellu”) ma la sua funzione resta sempre la stessa: scacciare il malocchio (in sardo “sa pigara de ogu”) e le maledizioni (in sardo “is mazzinas”).
Il “malocchio” è una delle tradizioni popolari più radicate in tutto il mondo.
Si tratta di una superstizione secondo cui alcune persone, tramite il semplice uso dello sguardo, sarebbero in grado di lanciare maledizioni o portare sfortuna ad altre da loro odiate o invidiate.
A questo proposito, sono tantissimi i talismani portafortuna e gli amuleti protettivi che sono nati nelle diverse credenze e popolazioni del mondo ma l’occhio è, in assoluto, il più diffuso. Esempi di questo sono l’Occhio di Allah, l’Occhio di Santa Lucia e, in Sardegna, proprio Su Coccu.
Su Coccu: com’è fatto?
Si tratta di una pietra nera, liscia e dura, solitamente Onice nera o Ossidiana, incastonata tra due coppette in argento, che la storia ritiene catalizzatrice di energia negativa.
La pietra è traforata per il passaggio del supporto che regge le due calotte laterali in lamina o filigrana d’argento e, spesso, è sorretta da due catenelle di sospensione.
La forma sferica, che ricorda proprio quella di un occhio, secondo la tradizione simboleggia l’occhio “buono” che si contrappone a quello “cattivo”, neutralizzando gli influssi negativi.
Compito della pietra, quindi, è quello di lenire da ogni dolore la persona che la indossa, preservandola dalle aggressioni di animali velenosi e, soprattutto, dalle persone “velenose”. La funzione protettiva della pietra, però, si narra debba essere “attivata” da alcune particolari preghiere in lingua sarda (“is brebus”).
Leggenda e tradizione vogliono che la pietra assorba gli influssi negativi, trattenendoli al suo interno, e che, nell’eventualità in cui questi risultino troppo forti, questa si spezzi o si stacchi dall’amuleto, lasciando però illesa la persona che la indossa.
In passato, Su Coccu veniva regalato ai futuri nascituri dalle nonne o dalla madrina di battesimo e doveva essere appuntato, con una spilla d’argento, all’altezza del cuore, così da proteggere il bambino dagli occhi invidiosi che avrebbero potuto guardarlo.
Nel caso in cui l’amuleto fosse rimasto integro fino alla crescita del bambino, questo si sarebbe poi dovuto legare al suo polso con un nastro di seta di colore verde.
Anche le future spose, tradizionalmente, ricevevano in regalo Su Coccu, con l’aggiunta di corallo rosso (simbolo dell’amore) o agata bianca (simbolo della purezza), affinché proteggesse lei e la sua relazione.
Uso comune era anche quello di donarlo alle famiglie che rischiavano di estinguersi per mancanza di discendenti diretti.
Su Coccu oggi
Con il tempo anche l’utilizzo di Su Coccu ha subito delle variazioni: venuto meno l’utilizzo del tradizionale abito sardo nel quotidiano, l’uso della spilla per appuntarlo sul velo o sul corpetto è caduto in disuso. Oggi, infatti, l’amuleto si trova spesso incastonato all’interno di gioielli come bracciali, anelli, orecchini e ciondoli.
La tradizione voleva che la pietra venisse rigorosamente ricevuta in dono mentre oggi, nonostante sia ancora molto diffusa la pratica di regalarlo, molti decidono di acquistarlo anche per sé stessi.
In ogni caso, che si creda o meno alla sua funzione protettiva, Su Coccu resta uno dei gioielli più antichi e affascinanti dell’isola e nasconde al suo interno una storia che si tramanda da secoli di generazione in generazione.