Questo quadro ambientale è oggi aggravato da nuovi condizionamenti: aumento della temperatura del Mar Mediterraneo come di tutti i mari e oceani, inquinamento, antropizzazione. L’intervento massiccio dell’uomo nella Laguna di Venezia ha comportato l’aumento della colonia di microrganismi conosciuti col nome di Teredine Navale, voracissima di lignina che è la componente del legno: l’habitat lagunare è oggi molto più salato di un tempo e quindi ospita i nemici delle fondazioni veneziane e di tutto il legno infisso nelle acque lagunari. Il danno è notevole, ma per ora sottovalutato.
Occorre inoltre distinguere nettamente tra singolo reperto o complesso di reperti e strutture sommerse o semisommerse: prima di ogni campagna di scavo va deciso se intervenire o meno in quanto i restauri hanno un costo che deve incidere fin dall’inizio sul budget dello scavo, tenendo conto che oggi sarebbe opportuno che il restauratore subacqueo fosse sempre presente durante la campagna.
Una seconda decisione riguarda, nel caso di strutture o di reperti di grandi dimensioni se occorre restaurare o meno, se restaurare subito o in un secondo momento in mancanza di un luogo dove riporre il grande reperto sia durante il restauro sia dopo il restauro. Si tratta comunque sempre di situazioni eccezionali che vanno attentamente valutate.
E’ stato il caso della galea veneziana del 1300 rinvenuta nell’isola sommersa di San Marco in Bocca Lama, Laguna Sud di Venezia: qui si è preferito riseppellire sia la galea sia il secondo relitto scoperto, una rascona, non per mancanza di fondi, ma per mancanza di un luogo fisico dove operare e dove poi lasciare i due relitti in esposizione dopo il restauro. Diverso il caso del rinvenimento eccezionale di tutto il ponte romano costruito nell’alveo della Dora Baltea ad Ivrea (TO): terminato lo studio esaustivo delle imponenti rovine, l’area archeologica è stata abbandonata all’irruenza della corrente del fiume che nuovamente sepolto sotto le sue acque tutta l’area archeologica.
E’ quanto di norma succede per i resti di ponti di varie epoche, dei quali si conservano in acqua in genere le sole strutture in legno: i pali. Tutti i fiumi del Nord Italia hanno interesse archeologico: erano le vie di comunicazione prima della costruzione delle moderne vie di comunicazione. Essi pongono agli archeologi svariati problemi di restauro subacqueo, molti ancora irrisolti, tranne per le numerose piroghe recuperate.
Il restauro subacqueo pone in risalto anche un altro problema non ancora risolto: la necessità di protrarre il restauro di un qualunque reperto per un tempo indefinito.
Infatti, il restauro di un reperto biotico, per esempio di legno, non finisce mai: sarebbe necessario che ogni restauro fosse corredato da un libretto di manutenzione affidato al responsabile della sua conservazione: il direttore del museo dove viene esposto o il responsabile di un magazzino.
Ogni x anni occorre verificare lo stato del reperto e, se del caso, intervenire. Gli esempi a proposito di reperti restaurati, anche importanti, non sottoposti a verifiche periodiche sono tanti a cominciare dal relitto svedese della Wasa.
Un esempio eccezionale di restauri abbinati a specifici studi e analisi non può che essere ancora una volta la città di Venezia: qui tutti i materiali utilizzati per la costruzione degli edifici, ma di edifici tuttora in uso, necessitano di continuo di interventi di manutenzione straordinaria, ovvero di restauri in corso d’uso del manufatto stesso.
Un’èquipe di architetti, archeologi, storici e naturalisti ha dato vita ad un interessante lavoro in corso di pubblicazione sul legno: modalità di utilizzo, durata nel tempo, interventi di conservazione.
Come si può quindi vedere, il restauro subacqueo richiede oggi figure professionali ben precise, preparate e presenti sia sul terreno di scavo sia in laboratori bene attrezzati: l’Italia sta ancora aspettando un laboratorio nazionale per il legno bagnato. Una speranza c’è: a Pisa, dove forse sorgerà questo laboratorio a fianco del nuovo spettacolare Museo delle Navi Antiche inaugurato due anni fa”.