Rischia di subire danni gravissimi fino a collassare uno dei pilastri portanti del cluster marittimo italiano.
Il cluster, formato dalle aziende di brokeraggio impegnate nell’attività di noleggio e compravendita delle navi, in dieci anni diverse ha visto uscire di scena decine di aziende e diverse centinaia di posti di lavoro ad alta qualificazione professionale sono andati persi.Considerato da sempre una delle eccellenze dello shipping italiano, il settore non sta pagando solo il prezzo altissimo della pandemia, ma soprattutto le conseguenze di un trend negativo che prosegue ormai da anni e che è frutto del combinato congiunto di una serie di fattori.
Dalla contrazione costante nel trasporto di alcune materie prime alla rinfusa (in primis il carbone) e, conseguentemente, dei noli, alla perdita del controllo da parte dei capitali italiani di attività strategiche industriali come quella della siderurgia sino alla contrazione nel numero delle compagnie di navigazione italiane impegnate nel trasporto di merci alla rinfusa.
“Con un sistema Paese – sottolinea il Presidente Alessandro Santi – che, in un panorama generale di accorciamento delle filiere di approvvigionamento strategico e di aumentato controllo sulle stesse, è diventato incapace di comprendere quanto sia vitale difendere alcune attività legate a traffici vitali, delegandone, invece, il controllo a player stranieri, anche l’attività dei broker marittimi segna il passo facendo scattare un allarme che non può passare inascoltato.
Nonostante una tradizione e un’affidabilità consolidata, nonostante una capacità di formare e impiegare giovani che sempre più spesso sono attirati da sirene straniere, le società di brokeraggio marittimo subiscono con sempre maggiore frequenza lo scavalcamento da parte di competitor esteri che sul mercato domestico possono competere con minori vincoli, ma anche minori garanzie per i clienti, ottenendo il favore dei grandi caricatori nazionali, a partire dalle multinazionali del settore energetico”.
Secondo Federagenti, si crea quindi un circolo vizioso nel quale i grandi caricatori escludono le società nazionali di brokeraggio, queste vedono erosa anche la loro storica propensione alla formazione e all’impiego dei giovani che, in numero crescente, o emigrano o cercano impiego presso i caricatori, con il risultato di indebolire quello che era un fiore all’occhiello dello shipping italiano e mediterraneo e, con effetto domino, anche il potere contrattuale e di controllo dei player industriali del Paese che sino a pochi anni fa trovavano nei broker italiani non solo una figura di intermediazione, ma soprattutto un consulente di fiducia.
Sulla sola piazza di Genova in 10 anni il numero delle aziende si è quasi dimezzato con occupati ad alta specializzazione passati dai quasi 340 del 2010 ai 220 di oggi.