Si intitola “Le chiavi del Mediterraneo” il nuovo libro di Andrea Cotticelli , edito da Palombi Editori, uscito in questi giorni in tutta Italia.
Il testo tratta gli esordi del Colonialismo Italiano che gettarono le basi di quello che divenne poi l’Impero Coloniale Italiano in Africa.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’Italia fu l’ultima delle Potenze europee ad inserirsi nella contesa coloniale. Esploratori, missionari e commercianti italiani si avventuravano in territori sconosciuti dell’Africa per aprire la via a possibili stabilimenti commerciali, protettorati e colonie.
I governi italiani, superati i molteplici problemi dovuti alla recente unificazione del Paese e stabilizzata la posizione dell’Italia nel concerto europeo, cominciarono ad indirizzare il loro sguardo verso l’oltremare.
Artefice della politica coloniale fu Pasquale Stanislao Mancini, chiamato da Agostino Depretis nel 1881 a far parte del suo governo come Ministro degli Affari Esteri. Nobile campano, uomo di scienze del diritto, abituato a muoversi tra le sicure e salde normative dettate dalla giurisprudenza, Mancini doveva ora dar prova di essere in grado anche di navigare nelle torbide acque della diplomazia internazionale tra furbizie, inganni e parole oggi proferite e domani negate.
Mancini indirizzò le sue mire verso le sponde africane del Mar Rosso convinto di trovare lì “le chiavi del Mediterraneo”.
Una scelta presa in parte anche grazie alle singole azioni di alcuni nostri esploratori nel Corno d’Africa, tra cui quelle di Giuseppe Sapeto, Giuseppe Maria Giulietti, Gustavo Bianchi, Antonio Cecchi, Ferdinando Fernè e Umberto Romagnoli.
A lui andrà il merito di aver costituito le basi dell’Impero Coloniale Italiano che nell’arco dei successivi cinquant’anni si svilupperà nel Corno d’Africa.
INTERVISTA ALL’ AUTORE
Perché scrivere oggi un libro sugli esordi del colonialismo italiano?
Il mio interesse a trattarlo nasce in quanto ad oggi ai più è sconosciuto e sono stati ben pochi gli storici e gli scrittori che vi si sono dedicati in modo specifico. Infatti gli albori delle imprese coloniali sono stati spesso solamente inseriti nelle pagine di volumi che trattano più ampiamente della storia d’Italia oppure trovano spazio solo in pochi capitoli nei rari e datati testi focalizzati sul colonialismo italiano.
Ho ritenuto opportuno scrivere degli esordi delle imprese coloniali dell’Italia nella convinzione che essi abbiano segnato una tappa di grande rilievo nella storia nazionale e che valga oggi la pena di essere riscoperta.
Per scrivere “Le chiavi del Mediterraneo” che tipo di lavoro di ricerca ha svolto?
Per il mio lavoro di ricerca e scrittura, oltre ad alcune specifiche pubblicazioni di illustri storici che hanno circoscritto i loro studi in una più approfondita analisi delle origini dell’avventura coloniale italiana, sono state fonti obbligate, e forse uniche, alle quali ho potuto attingere per conoscere come nacque e si sviluppò in Italia la politica coloniale nei primi decenni postunitari, sono i discorsi e gli atti parlamentari pubblicati dalla Camera dei Deputati e dal Senato del Regno d’Italia, e i documenti diplomatici italiani risalenti agli anni Ottanta del XIX secolo.
Questi si sono rivelati di grande utilità per inquadrare nel miglior modo possibile come gradualmente si è andato sempre più sviluppando l’interesse dei governi italiani, in particolare per il Governo Depretis-Mancini, per quelle zone del Mar Rosso e dell’Africa Orientale, ritenute essere “le chiavi del Mediterraneo”, che furono le basi di quello che divenne poi l’Impero Coloniale Italiano.
Ha dato ampio spazio nel suo libro non solo ai documenti ma anche ai giornali dell’epoca. Perché questa scelta?
A corredo della citata documentazione è parso interessante, ed a volte curioso, consultare articoli riportati su alcune pubblicazioni settimanali della seconda metà dell’Ottocento, dove giornalisti e commentatori politici mettono in risalto il giudizio dell’opinione pubblica in balia di notizie, spesso contrastanti, sugli avvenimenti in corso, mentre corrispondenti esteri inviano le prime impressioni sulle nuove terre italiane.
Infine, nel suo libro sono presenti molte illustrazioni d’epoca rare e inedite. Queste risultano essere una chiave di lettura in più sul colonialismo italiano?
Ho ritenuto gradevole arricchire il testo con alcune illustrazioni riprese da pubblicazioni settimanali degli anni 1878-1885, come “L’Illustrazione Italiana”, “Rivista Illustrata Settimanale” e “L’Illustrazione Popolare”, nelle quali disegnatori dell’epoca hanno ritratto luoghi, costumi e momenti di vita relativi agli albori delle imprese coloniali. Da quelle illustrazioni possiamo oggi avere un’idea di come apparivano quei luoghi agli occhi dei primi italiani, esploratori, missionari, commercianti e soldati, che sbarcavano sulle coste africane del Mar Rosso. Vi si possono inoltre ammirare le sagome delle navi che parteciparono alla spedizione italiana nel Mar Rosso e cogliere momenti di vita dei reparti militari destinati ad Assab e Massaua, i primi possedimenti italiani nel Corno d’Africa, nei loro accampamenti, nelle strutture fortificate e nelle residenze civili.