Legambiente elenca 5 priorità di intervento per la Sardegna.
La riduzione del rischio idrogeologico, la mobilità sostenibile, bonifiche, la transizione energetica e la valorizzazione del patrimonio culturale.
L’elenco rientra nel suo Piano nazionale di Ripresa e Resilienza per un’Italia più verde, innovativa e inclusiva.
Gli obiettivi di Legambiente Sardegna:
“Mettere in sicurezza i territori dal rischio idrogeologico; predisporre un nuovo Piano regionale trasporti; procedere con la bonifica dei siti estrattivi dismessi del Sulcis e delle aree industriali di Porto Torres e Ottana; confermare la chiusura delle centrali a carbone di Portoscuso e Fiume Santo entro il 2025 e rafforzare la produzione di energia rinnovabile; rilanciare gli investimenti sul patrimonio culturale.Link al PNRR redatto da Legambiente:
https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/02/proposte-Legambiente-per-PNRR.pdf
Un’Italia più verde, più vivibile, innovativa e inclusiva. Così potrà diventare la Penisola da qui al 2030 se saprà utilizzare al meglio le opportunità e le risorse che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia con il Next Generation EU (NGEU).
Di ciò ne è convinta Legambiente che, nel giorno in cui viene audita in Parlamento in Commissione Ambiente della Camera dei deputati, per dare una “scossa” alla recente discussione poco centrata sui contenuti presenta il suo Recovery Plan, frutto di un lungo dialogo durato 5 mesi con istituzioni, imprese, associazioni, sindacati, e di una scrittura collettiva e condivisa.
Il documento in questione ci proietta verso l’Italia del 2030 e indica, per le 6 missioni indicate dall’Europa, 23 priorità di intervento, 63 progetti territoriali da realizzare – tra rinnovabili, mobilità sostenibile, economia circolare, adattamento climatico e riduzione del rischio idrogeologico, ciclo delle acque, bonifiche dei siti inquinati, innovazione produttiva, rigenerazione urbana, superamento del digital divide, infrastrutture verdi, turismo, natura e cultura.
Insieme a 5 riforme trasversali necessarie per accelerare la transizione ecologica del Paese per renderlo più moderno e sostenibile, dando il via ad una nuova stagione della partecipazione e della condivisione territoriale.
Il faro che ha guidato Legambiente nella redazione del suo Recovery Plan è la lotta alla crisi climatica che riguarda trasversalmente le 23 priorità nazionali di intervento. Nel documento, inoltre, l’associazione ambientalista descrive, regione per regione, quelle che a suo avviso sono le opere da realizzare e quelle da evitare. Indicando in maniera chiara come spendere i quasi 69 miliardi di euro destinati per la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e i 32 miliardi destinati alle “Infrastrutture per la mobilità sostenibile”.
Tra i progetti da finanziare, Legambiente indica, ad esempio, oltre all’Alta Velocità nel centro Sud, le reti ferroviarie di Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise, Campania, Sardegna, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia. La lista prosegue con l’elettrificazione dei porti, l’idrovia Padova Venezia, la chiusura dell’anello ferroviario di Roma e gli interventi per ridurre gli impatti ambientali nelle acciaierie (l’ex Ilva di Taranto e l’impianto di Cogne ad Aosta). E ancora la riconversione del distretto dell’Oil&Gas di Ravenna (puntando sulla nuova filiera dell’eolico e del fotovoltaico offshore e della dismissione delle piattaforme non più operative), la riconversione delle centrali a carbone ancora attive e i progetti sull’agroecologia in Puglia, Umbria, Emilia Romagna e Trentino.
Senza dimenticare la realizzazione di digestori anaerobici per il trattamento della frazione organica differenziata, con produzione di biometano e compost di qualità, in ogni provincia in Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata, Abruzzo, Marche, e Liguria e quelli per trattare gli scarti agricoli, i reflui zootecnici e i fanghi di depurazione.
E poi le delocalizzazioni degli edifici a rischio idrogeologico in Calabria, Sardegna e Umbria.
Ma anche la decarbonizzazione delle isole minori in Sicilia, la digitalizzazione nelle aree interne e una nuova fruibilità turistica delle aree montane come nelle Marche, dove andrebbero finanziate le connessioni ciclopedonali, che mancano, tra Appennino e costa adriatica. Infine, la riqualificazione dell’edilizia popolare (messa in sicurezza ed efficientamento energetico) e degli istituti scolastici in Campania; il progetto integrato sulla “città adriatica” nelle Marche, la rigenerazione socio-economica delle quattro regioni del centro Italia colpite dal sisma.
Tra i progetti da evitare e che l’associazione ambientalista boccia c’è, ad esempio, l’impianto di cattura e stoccaggio di CO2 proposto da Eni a Ravenna, il ponte sullo stretto di Messina, quelli legati alla produzione di idrogeno da fonti fossili, i nuovi invasi, gli impianti TMB di trattamento meccanico biologico dei rifiuti, gli impianti di innevamento artificiale e di risalita al di sotto dei 1.800 m.s.l.m., gli incentivi legati all’acquisto dei veicoli a combustione interna.
“Negli ultimi mesi – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – il percorso di definizione del PNRR da parte del governo italiano è stato a dir poco confuso e, soprattutto, per nulla partecipato. Per dirla con una battuta auspicavamo un “PNRR partecipato” e ci siamo trovati un “PNRR delle partecipate”, come poi è emerso dalle bozze circolanti con i progetti proposti da Eni. Il nostro auspicio è che, una volta superata la crisi governativa in corso, l’Esecutivo abbia il coraggio di cambiare registro e passo pensando ad un Recovery Plan diverso. L’ideale sarebbe modificarlo e mettere al centro la crisi climatica, anche prendendo spunto dal nostro documento.
Questi interventi devono essere accompagnati da un profondo pacchetto di riforme per accelerare la transizione ecologica.
Servono più semplificazioni, controlli pubblici migliori, un’organizzazione burocratica aggiornata professionalmente e all’altezza della sfida. E anche una maggiore partecipazione, con una nuova legge sul dibattito pubblico che riguardi tutte le opere per la transizione verde, per coinvolgere i territori e ridurre le contestazioni locali. Solo così – conclude Ciafani – si darà concretezza al nome scelto per il PNRR: Next Generation Italia, con un forte richiamo agli impegni che si assumono per le prossime generazioni. Ma perché alle intenzioni dichiarate corrispondano i fatti è necessaria quella volontà politica che non abbiamo visto finora. È il momento di mostrarla”.
“Mettere in sicurezza i cittadini, il territorio, gli abitati, i siti produttivi, il patrimonio archeologico e storico artistico dal rischio idrogeologico. Ma anche predisporre un nuovo Piano regionale trasporti incardinato sull’intermodalità, l’ammodernamento della rete ferroviaria, l’integrazione tra aree interne e poli urbani. Procedere con la bonifica dei siti estrattivi dismessi del Sulcis e delle aree industriali di Porto Torres e Ottana, che potranno giocare un ruolo importante nella definizione dei nuovi paesaggi energetici per la produzione da FER insieme alla generazione diffusa. Confermare la deadline del 2025 per la chiusura delle centrali a carbone di Portoscuso e Fiume Santo, mettendo in campo un progetto di bonifica, riqualificazione e rilancio occupazionale delle aree industriali. Restituire al patrimonio culturale la fondamentale funzione educativa e di cura delle comunità con nuovi investimenti per la valorizzazione e fruizione.
Questa è la rotta che la Sardegna deve seguire –afferma Annalisa Colombu, Presidente di Legambiente Sardegna.
Quella che consentirà anche alla nostra regione di camminare insieme all’Europa intercettando e utilizzando in maniera virtuosa i fondi per la giusta transizione”.
Critiche al PNRR predisposto dal Governo
Per Legambiente gli anni fino al 2030 saranno cruciali per fronteggiare l’emergenza climatica. Per questo non deve essere sprecata la grande opportunità del PNRR per diventare un paese moderno. U’occasione da non perdere per liberarsi quindi da zavorre, emergenze ambientali croniche, progetti e inadempienze che provocano procedure d’infrazione da parte dell’Europa. Ma soprattutto per superare lo shock causato dalla pandemia.
Ad oggi purtroppo il PNRR predisposto dal Governo, non ha ancora imboccato con determinazione questa strada.
Per l’associazione ambientalista si tratta di un piano privo di una bussola, dove la grande assente tra le priorità trasversali è proprio la crisi climatica. Inoltre manca la messa a punto di obiettivi, strumenti e interventi dettagliati, coerenti e integrati tra loro. Solo così si potrebbe delineare la visione del Green Deal Italiano e le tappe della transizione per tradurlo in realtà. Nel Piano governativo arrivato in Parlamento il 15 gennaio 2021, non compare più infatti l’allegato con le schede progetto circolato il 29 dicembre scorso. Questo non rende possibile un’analisi approfondita e puntuale.
Ma una descrizione più generale di quello che si vuole finanziare c’è ed è sufficiente per valutare gli errori del Piano. Solo per fare un esempio nel PNRR proposto dal Governo alle opere ferroviarie per la connessione veloce vanno quasi 27 miliardi di euro. La fa da padrona l’Alta velocità e la velocizzazione della rete con poco meno di 15 miliardi di euro. Mentre il 18,5 va all’efficientamento termico e sismico dell’edilizia residenziale privata e pubblica.
Sono di gran lunga più contenute le risorse destinate a produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili (9). Al trasporto locale e alle ciclovie (7,5) a cui andrebbero destinate più risorse. All’economia circolare (4,5 miliardi di euro), che pure vede l’Italia come paese leader in Europa. Il rischio idrogeologico (3,6), che interessa il 91,1% dei Comuni. L’agricoltura (2,5), motore indispensabile del “made in Italy” agroalimentare.
Riforme necessarie
La storia dell’Italia ricorda che non bastano i finanziamenti europei per realizzare le opere pubbliche necessarie, ma servono anche delle riforme in parallelo. È necessario organizzarsi velocemente e in modo diverso, per garantire qualità dei progetti, velocità della spesa e certezza del rispetto delle regole. Per questo l’associazione ambientalista indica nella sua proposta di PNRR le numerose riforme necessarie per ciascuna delle 23 priorità di intervento individuate. A cui se ne affiancano altre 5 trasversali, da mettere in campo per accelerare la transizione ecologica:
1) Velocizzare l’iter autorizzativo con le semplificazioni all’iter di approvazione dei progetti.
2) Combattere la concorrenza sleale con il miglioramento qualitativo dei controlli ambientali attraverso il potenziamento del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente.
3) Istituire una governance efficace con una Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sul modello di quanto già fatto, con risultati incoraggianti, sul rischio idrogeologico e sull’edilizia scolastica.
4) Aumentare le competenze della pubblica amministrazione con un vasto programma di formazione e aggiornamento professionale.
5) Ridurre i conflitti territoriali con una nuova legge sul dibattito pubblico per la condivisione e la partecipazione di cittadini e istituzioni locali. Questo al fine di potenziare quanto già previsto da Codice degli appalti e Valutazione di impatto ambientale.
Gloria Cadeddu