“Il maltempo di questi giorni non ha risparmiato le sorti della Costiera Amalfitana, e proprio in corrispondenza del famoso centro cittadino da cui prende il nome la Costiera, questa mattina intorno alle ore 9.30 si è innescata una frana di notevoli dimensioni che ha investito la statale che attraversa Amalfi e che ha interessato il costone roccioso sottostante il rione di Vagliendola, ad Amalfi.
Una massa detritica di varie dimensioni, ha pericolosamente invaso la Statale Amalfitana 163, e il sottostante “Lungomare di Cavalieri” in località “La Marinella”, investendo l’imbocco del tunnel “Matteo Camera”.
Da una tabella cronologica che descrive gli eventi franosi principali della Penisola Sorrentino – Amalfitana, emerge che la Costiera è stata interessata più volte da frane. Ad esempio da ricordare sarebbero quelle avvenute nel 1899 e nel 1924. Purtroppo la Campania è tra le regioni più a rischio idrogeologico. L’ultimo monitoraggio di quest’anno ha dati importanti: il 60,2% del territorio regionale campano è a rischio frana, contro una media nazionale del 19,9%. Un problema, dunque, che interessa 302.783 residenti, 116.115 famiglie, il 5,6% del totale”. Lo ha dichiarato Gaetano Sammartino, geologo, Presidente della Sezione Campania della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA).
“La Costiera Amalfitana è con ogni probabilità uno dei pochi siti turistici di alto profilo ad avere avviato un dibattito importante sulla tutela del suo ecosistema, avviando interessanti attività sulla sostenibilità ambientale. Ora però necessita convocare un tavolo tecnico – ha continuato Sammartino – per una programmazione che guardi al futuro proprio nell’ottica della sostenibilità, ponendo anche il tema della manutenzione e della tutela.
Quello del dissesto idrogeologico in Campania è un problema grave e complesso che richiede un serio e continuo impegno, senza arretramenti né per lo sforzo finanziario né per le azioni già intraprese. La Sigea vuole soltanto ricordare che sono stati fatti notevoli sforzi a partire dai tragici eventi di Sarno (maggio 1998), sono state quindi emanate norme (D.L. 11.06.98 n.180, convertito in Legge 03.08.98 n.267; D.L. 12.10.2000 n.279, convertito in Legge 11.12.2000 n.365) che hanno indotto una diversa politica di gestione del rischio idrogeologico, passando da un’ impostazione di base incentrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze, ad una cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari livelli, imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio e volta all’adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi”.
Occorre adottare misure ancora più incisive rispetto a quanto si è fatto sinora.
“A seguito di tali norme, si è dato avvio a un’analisi conoscitiva delle condizioni di rischio, individuando e perimetrando le aree con diverso livello di attenzione per il “Rischio idrogeologico”: R4 (molto elevato), R3 (elevato), R2 (medio), R1 (moderato). In tal modo, le competenti Autorità di Bacino, hanno elaborato i “Piani Stralcio per l’assetto idraulico ed idrogeologico” (PAI), attraverso i quali oggi sappiamo che in regione Campania sono presenti numerose porzioni di territorio ad alto rischio, tra le quali anche naturalmente la Costiera Amalfitana ma non è la sola.
Il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale” – ha continuato Sammartino – approvato con D.P.C.M. del 20 febbraio 2019, mostra il suo aspetto sicuramente più innovativo nella scelta di ricondurre esplicitamente nell’ambito della mitigazione del rischio idrogeologico una serie di azioni ed interventi per la tutela del territorio che erano sempre stati oggetto di pianificazioni indipendenti e separate.
In questo modo per la prima volta sono state aggregate in un unico strumento organico misure di emergenza, prevenzione e manutenzione che afferiscono a funzioni statali diverse, sotto la direzione e la competenza del Dipartimento della Protezione Civile, del Ministero dell’Ambiente, del Ministero delle Politiche Agricole, Ministero dell’Interno e del Ministero delle Infrastrutture.
Purtroppo, la tempistica di attuazione degli interventi risente di numerosi fattori che influiscono in maniera più o meno marcata sulla realizzazione delle opere quali: caratteristiche e complessità della tipologia d’intervento, valore economico, capacità amministrativa ed efficienza dell’Ente Attuatore/Esecutore, condizioni orografiche e climatiche del territorio.
Secondo il rapporto dell'”ISPRA-RENDIS 2019″, da una analisi dei tempi di completamento degli interventi è stato evidenziato che l’80% degli interventi, si distribuisce in un intervallo che va dai circa 2 anni e mezzo agli 8 anni, mentre il valore mediano della durata è prossimo ai quattro anni e mezzo, ovvero, in termini pratici, la metà degli interventi viene ultimato con tempi superiori ai 4,5 anni dalla data del finanziamento.
A fronte di una situazione così palesemente preoccupante, occorre adottare misure ancora più incisive rispetto a quanto si è fatto sinora.
Perché non abbiamo ancora acquisito la corretta capacità di spesa, spesso dovuta alla mancanza di competenze nei piccoli comuni o anche alla mancanza dei fondi necessari per poter effettuare le opportune indagini e per redigere i progetti esecutivi, e quando i “progetti” arrivano al Ministero, arriva solo un titolo o poco più”.