persone sono state arrestate (tre sono finite in carcere, sei ai domiciliari) nella Piana di Gioia Tauro perchè ritenute responsabili, a vario titolo – in qualità di datori di lavoro,
caporali e faccendieri – di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e intestazione fittizia di beni. Sequestrata anche un’azienda agricola. Nell’operazione impiegati 80 uomini e donne della polizia.
Le indagini – condotte dal commissariato di Gioia Tauro e dalla Squadra mobile di Reggio Calabria dal mese di giugno 2018 al mese di giugno 2019 sotto la direzione della Procura di Palmi – hanno consentito di far luce su alcune vicende di grave sfruttamento lavorativo nelle campagne di Gioia Tauro di numerosi migranti di origini subsahariana alloggiati nella baraccopoli di San Ferdinando, prima che venisse smantellata il 6 e 7 marzo 2019.
Dalle attività di controllo delle aziende e delle colture agrumicole in cui gli immigrati venivano impiegati come braccianti, dalle audizioni dei lavoratori sottoposti a sfruttamento e infine dalle operazioni di intercettazioni telefoniche condotte dagli Uffici operanti della Polizia di Stato, è emerso “un contesto di assoluto rilievo criminale caratterizzato dal continuo verificarsi di condotte delittuose poste in essere da diversi soggetti della Piana di Gioia Tauro (datori di lavoro, caporali e faccendieri) consistenti quasi sempre nel reclutamento, utilizzazione, assunzione e impiego dei lavoratori extracomunitari a basso costo, allo scopo di destinarli al lavoro nei campi in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno”.
Ogni anno, da settembre a marzo e nel pieno della stagione agrumicola, giungono nella Piana di Gioia Tauro, specialmente nelle aree comprese tra Rosarno, Rizziconi e San Ferdinando, moltissimi migranti di origine centrafricana in cerca di lavoro come braccianti e vanno a popolare, in mancanza di diversa sistemazione alloggiativa, siti di fortuna, com’era da considerarsi la ex baraccopoli di San Ferdinando.
L’inchiesta ha portato alla luce “elementi probatori chiari” in merito alla sussistenza di “un sistema organizzato di sfruttamento nel lavoro dei campi di numerosi immigrati africani che – spiegano gli inquirenti – faceva capo principalmente ad un soggetto di elevata caratura criminale riconducibile all’alleanza di ‘ndrangheta, un tempo esistente, Piromalli-Molè, nonchè dominus effettivo dell’azienda agricola in cui lavoravano i migranti in condizioni di sfruttamento, che teneva continui contatti con i caporali e i faccendieri che operavano al suo servizio, impartendo loro direttive”.
L’uomo è gravemente indiziato di essere stato a capo di tale sistema, imponendo comportamenti e fornendo direttive, minacciando e punendo chi non eseguiva i suoi ordini, ben sapendo di essere temuto e ossequiato e di potersi avvalere di una strutturata rete di collaboratori per realizzare i suoi obiettivi.
Sono stati ritenuti sussistenti dal gip di Palmi “gravi indizi di colpevolezza” nei confronti di altri soggetti di cui l’uomo si serviva per realizzare l’attività di sfruttamento. Un caporale che gestiva per conto dell’uomo i lavoratori extracomunitari, si occupava di reclutare i braccianti africani e di controllarne il lavoro. Ad un altro uomo era demandato il pagamento delle giornate di lavoro dei singoli operai di colore che erano impiegati nella raccolta degli agrumi, nonchè il compito di guidare i furgoni a bordo dei quali venivano condotti i lavoratori nei campi.
Inoltre, un fedele faccendiere svolgeva l’importante ruolo di tenere i contatti con i caporali e controllare il lavoro degli extracomunitari.
Il capo dell’organizzazione risponde anche del delitto di intestazione fittizia di beni (in concorso con la figlia indagata a piede libero) atteso che dalle indagini è emerso che l’azienda agricola intestata a quest’ultima era stata creata ad hoc per consentirgli di esercitare l’attività di impresa senza attribuirsi formalmente la titolarità della stessa.
E’ stato condannato per associazione mafiosa, è stato sottoposto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno del comune di residenza ed è stato destinatario della misura di prevenzione della confisca. Non poteva pertanto essere proprietario formale di un’azienda agricola che certamente gli sarebbe stata sequestrata.
(ITALPRESS).