Un percorso ideato e realizzato da Alessandro Mascia e Pierpaolo Piludu, attori e registi del Cada Die Teatro, in collaborazione con le insegnanti della scuola.
Il laboratorio si sarebbe dovuto concludere alcuni mesi dopo con un esito scenico e la rappresentazione dello spettacolo “Arcipelaghi”, produzione storica della compagnia cagliaritana, tratto dal romanzo “Gli arcipelaghi” di Maria Giacobbe. Nessuno ancora poteva immaginare che di lì a poco una pandemia avrebbe bruscamente interrotto l’andamento naturale delle cose.
Ma, anche se a fatica, le attività sono riprese e domani, venerdì 12 marzo, quei ragazzi che si stanno appassionando al teatro si ritroveranno negli spazi in località Gutturu Turri, alle 16, per chiudere insieme a Piludu e Mascia il percorso avviato un anno fa, incentrato sui personaggi presenti nell’opera della scrittrice nuorese.
Durante il laboratorio teatrale gli studenti sono stati invitati a mettersi nei panni di uno o più protagonisti del romanzo.
Ogni partecipante ha in questo modo potuto capire e rivivere in prima persona i sogni, le paure e le motivazioni che hanno spinto i personaggi creati dalla Giacobbe a compiere azioni talvolta spregiudicate e crudeli. La vicenda (un ragazzino che finisce in carcere perché sua madre lo ha spinto a vendicare l’assassinio di suo fratello, che aveva avuto la sventura di assistere a un furto) ha stimolato una riflessione profonda sui temi della violenza, della vendetta e della pena. Si è lavorato sul favorire l’acquisizione di tecniche e competenze teatrali in un “contesto protetto”, dove tutti hanno potuto mettersi in gioco in un clima di piena collaborazione e ascolto reciproco.
Alessandro Mascia, ripercorrendo questo anno di pandemia, racconta il percorso laboratoriale con i ragazzi della Comunità Dianova: “La lontananza fisica tra le persone, il timore della vicinanza, del naturale scambio fisico di un abbraccio o anche semplicemente nel toccare una spalla, nello stringersi la mano… Senza dimenticarci che prima ci si salutava anche baciandoci amichevolmente… perché il teatro è anche questo”, sottolinea. “E se penso al nostro lavoro a Ortacesus – continua e conclude – in fondo ha significato proprio provare a ricucire naturali relazioni umane, espressive, contatti sociali, lavorare in gruppo e condividere oltre le ‘distanze’ le singole individualità e vite, cercando di trovare sempre una vicinanza ‘empatica’ ed ‘emotiva’”.
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