Le fonti di produzione del diritto romano in età arcaica sono due: le leggi regie e le dodici
tavole.
Le leggi regie.
Le prime, leleges regiae, si fanno risalire al momento della mitica fondazione da parte di Romolo e Remo.
Le fonti riferiscono che numerosi legiferano su determinate materie: Pomponio, nell’Enchiridion, Livio negli Ab urbe condita libri, e lo stesso Virgilio nell’Eneide, riportano tale costume.
Il loro contenuto e il loro scopo.
Le dottrine romanistiche fino agli anni Settanta dicono che le leges regiae siano delle anticipazioni storiche.
Ad esempio, se Pomponio dice che il diritto di proprietà esiste sin dall’età arcaica perché ire legiferavano in materia, lo avrebbe sostenuto soltanto per rafforzare il concetto di proprietà.
L’unica e precipua funzione del richiamo sarebbe stata questa.
L’archeologia soccorre in tal senso. A seguito del ritrovamento nel Foro del Lapis niger, redatta in modalità bustrofedica, veniamo a conoscenza del fatto che una lex regia avrebbe punito chi avesse violato l’area sacra, dedicata al culto, del medesimo Foro.
Le dodici tavole.
Le seconde, le Duodecim Tabulae, sono state scritte e affisse tra il 451 e il 450 a.C. Per la loro redazione, si nomina una commissione di dieci membri, tra i quali troviamo notizia di un certo Appio Claudio.
Al decemvirato, della durata annuale, subentra un secondo decemvirato, all’interno del quale trova nuovamente posto tale Appio Claudio, unico nominato anche per il secondo anno.
Caratteristica di tale decemvirato è quella di avere pieni poteri sia civili che militari. È dimostrato che i decemviri entrano i contatto con la cultura greca e la teoria più accreditata e verosimile in tale senso è che ciò sia stato reso possibile da un loro viaggio sul suolo italico.
La prima forma di codice scritto.
Le dodici tavole possono essere definite come prima forma di codice scritto, anche se risulta improprio e anacronistico impiegare questa parola. L’impiego del lemma codice con riferimento ad esse si può giustificare soltanto alla luce del fatto che vuole alludere soltanto alla volontà dei loro redattori di comporre delle norme generali che disciplinano diversi settori del diritto.
All’interno delle dodici tavole si trovano norme di diritto processuale, diritto penale, diritto privato e infine di diritto costituzionale. Le duodecim tabulae rimangono affisse nel Foro, redatte probabilmente su un supporto di bronzo per circa sessant’anni, fino al 390 a.C., anno in cui arrivano i Galli e a seguito dell’incendio di Roma se ne costata la scomparsa.
Rimangono però pienamente vigenti fino a Giustiniano e alla sua codificazione. Non sono giunte sino a noi, ma tra citazioni dirette e indirette è stato possibile ricostruire circa centoventi norme, trascritte nei Fontes Iuris Romani Anteiustiniani(F.I.R.A.), tripartiti in tre volumi di leges, auctores e negotia.
Una importante testimonianza ci viene fornita da Cicerone, nel De legibus, II, 23, 59: l’arpinate dice che non è necessario per lui soffermarsi su determinate norme, perché ai suoi tempi le dodici tavolesi studiavano a scuola.
La migliore modalità ricostruttiva delle Duodecim Tabulae è quella di principiare dai commenti che i giuristi fanno di queste. Esemplare risulta una citazione di Gellio, ai tempi del quale quindi le norme in questione sono ancora vigenti; Gellio dice che Labeone, giurista di età augustea, tratta del furtum nel II libro del suo commento alle dodici tavole.