Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, stigmatizza le posizioni del Sindacato traendo spunto dall’intervento della Senatrice Boldrini.
De Palma chiede che, più che mai in questo particolare momento storico, alle prese ancora con l’emergenza pandemia in corso, e nel pieno di una missione vaccinazioni non ancora entrata nel vivo, il Ministro della Salute Roberto Speranza, nel previsto piano di rivoluzione della sanità italiana da lui auspicato, dia finalmente impulso all’introduzione dell’infermiere di famiglia, visto che da mesi c’è una legge che supporta tutto questo.
«Finalmente si ritorna a parlare di infermiere di famiglia. Era ora.»
«Accogliamo con favore l’intervento della Vicepresidente della Commissione Sanità del Senato, Paola Boldrini. Ma tutto questo non sia l’ennesimo fumo negli occhi. Perchè la sanità italiana ha bisogno come il pane di una concreta rivoluzione, ricreando da zero il rapporto con il paziente, a partire dalla qualità dei servizi offerti sul territorio, quindi anche al di fuori delle stanze di un ospedale».
«Siamo stati il primo sindacato che per anni si è battuto affinché l’istituzione dell’infermiere di famiglia divenisse finalmente realtà. E finalmente, con la legge del 7 luglio 2020, pensavamo di essere arrivati a una svolta epocale. Tengo ancora ben presente quando sono stato convocato in audizione al Senato, lo scorso 23 giugno, per relazionare su quali sarebbero stati i vantaggi concreti per l’intero sistema sanitario, ma soprattutto per tutti i cittadini italiani, in merito una proposta legislativa destinata, lo credevamo tutti, a creare una rivoluzione positiva.
Mi sono battuto, con il Sindacato che rappresento, per mettere in evidenza che infermiere di famiglia non può e non deve essere immaginato come un professionista dedicato soltanto all’assistenza domiciliare, per quanto importante sia questa attività. Ma purtroppo e’ accaduto di peggio: ovvero che la legge, una volta approvata, è finita nel dimenticatoio e che, dei 9600 infermieri di famiglia da assumere, 8 ogni 50mila abitanti, abbiamo di fatto visto solo le briciole, circa 1000. Non c’è dubbio, e in questo senso merita un plauso, che l’intervento di ieri della Senatrice Paola Boldrini, Vicepresidente della Commissione Sanità, rappresenti finalmente un lampo di luce in quello che era diventato buio pesto. Confidiamo che tutta questa attenzione sull’infermiere di famiglia non si traduca nell’ennesimo fumo negli occhi e che dalle parole si passi finalmente ai fatti».
«Lo dicevamo e lo diciamo ancora ora. Serviva e serve, se si vuole davvero ripartire, un insieme di disposizioni di coordinamento tra regioni, o anche una norma quadro nazionale, che non metta nella condizione le 21 regioni di avere 21 infermieri di famiglia diversi l’uno dall’altro, impiegati in modo diverso. L’infermiere di famiglia può rafforzare la sanità territoriale, può snellire finalmente i ricoveri, può collaborare con strutture pubbliche e private, può ad esempio supportare il settore scolastico. Può spaziare dalla formazione, alla consulenza sanitaria e a tutta una serie di attività che sono nell’assistenza primaria. Al pari del medico l’infermiere di famiglia dovrà avere la responsabilità di un proprio ambulatorio dove garantire determinate prestazioni, per l’appunto ambulatoriali, dalle medicazioni alle attività più complesse.
E pensate al piano vaccini e alla necessità dell’immunizzazione di massa. Pensate che se questi infermieri fossero stati assunti tempestivamente, come noi continuiamo a chiedere sin da prima che la legge fosse approvata, in questo momento avremmo a disposizione ben 9600 professionisti in grado di vaccinare gli italiani porta a porta, o all’interno delle farmacie, come previsto, o nelle scuole il corpo docente e il resto del personale. Tutto questo non può e non deve restare ancora nell’inutile mondo dei buoni propositi».