Cesare Mirabelli: “Ecco cosa insegna ai giovani di oggi la Festa della Liberazione”
Cesare Mirabelli, giurista e presidente emerito della Corte costituzionale, approfondisce il valore dell’Anniversario della Liberazione d’Italia
“Lo spirito della liberazione si è manifestato anche in quanti hanno aiutato, pure nelle istituzioni e nel mondo ecclesiastico, a salvare dalla deportazione, ad aiutare chi fosse ricercato o in una situazione di bisogno, in contesti difficili e spesso drammatici”. Cesare Mirabelli, giurista e presidente emerito della Corte costituzionale, approfondisce per In Terris il valore dell’Anniversario della Liberazione d’Italia.
La Festa della Liberazione dal nazifascismo
L’anniversario della liberazione d’Italia, ricorrenza conosciuta anche come festa della Liberazione o semplicemente 25 aprile, è la festa che celebra la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista.
È un giorno fondamentale per la storia d’Italia e assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze armate Alleate (principalmente britanniche ed americane), dall’Esercito Cobelligerante Italiano ed anche dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale, a partire dall’8 settembre 1943 fino al 25 aprile 1945.
La Festa della Liberazione è ancora attuale?
Dopo 61 anni, l’Italia è una Nazione profondamente mutata. E’ dunque ancora attuale richiamarsi ai valori del passato, parlare di nazionalismi, insegnare ai giovani i principi della costituzione? Quale apporto, infine, hanno avuto la Chiesa e i cattolici nella liberazione d’Italia?
Approfondiamo i molteplici aspetti sia storici, sia attuali, con il professore Cesare Mirabelli, giurista italiano e presidente della Corte costituzionale dal 23 febbraio al 21 novembre 2000. Allievo del professore Pietro Gismondi, è stato magistrato, avvocato e professore ordinario di diritto ecclesiastico presso le Università di Parma, di Napoli e – dalla fondazione – di Roma Tor Vergata, nonché presso l’Università Europea di Roma, e di diritto costituzionale nella Pontificia Università Lateranense di Roma.
È stato vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura dal 1986 al 1990 e direttore scientifico dell’Istituto regionale di studi giuridici del Lazio Arturo Carlo Jemolo. Dal 2006 è membro del consiglio superiore della Banca d’Italia. Ricopre la carica di consigliere generale della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano e riveste la qualifica, in seno alla Federazione Italiana Giuoco Calcio, di componente della commissione di garanzia della giustizia sportiva.
L’intervista al professore Cesare Mirabelli
Professor Mirabelli, iniziamo dalle origini. Come e quando è nato il suo amore per la legge?
“La scelta della Facoltà di giurisprudenza, dopo gli esami di maturità, ha corrisposto ad un indirizzo professionale familiare, ma non era condizionata da indicazioni dei miei genitori o di altri. Mi interessavano anche altre discipline, ad esempio fisica, tra le materie scientifiche, e filosofia tra quelle umanistiche. L’importanza e il piacere della conoscenza riguarda tutte le materie e in tutte è necessaria applicazione, desiderio di conoscere e di poter fare qualcosa di utile con la professionalità che si acquisisce.
Il diritto viene a volte considerato arido e da ‘azzeccagarbugli’. Non è così, perché il ‘buon’ diritto è razionalità e giustizia, equilibrio nei rapporti sociali. Ci sono risvolti storici, culturali, politici, sociali. La ‘passione’ per il diritto è venuta studiando e si è sviluppata in un clima di amicizia nella cerchia di studenti che, come me, frequentavano le lezioni e facevano vita universitaria. È stato decisivo il rapporto con professori di straordinario livello scientifico e con alcuni veri Maestri, capaci di attrarre gli studenti e farli appassionare alla ricerca. Tra questi ricordo Francesco Calasso, storico del diritto. Molti studenti che hanno frequentato le sue lezioni e la ‘comunità’ didattica che riusciva a creare, si sono poi dedicati alla ricerca nei vari settori del diritto di loro interesse. Ricordo poi con riconoscenza i miei Maestri, Pietro Agostino d’Avack e soprattutto Pietro Gismondi. È importante non solamente la relazione accademica, ma anche e forse soprattutto il rapporto umano”.
Quanto conta la fede nella sua vita privata e professionale?
“La fede non è qualcosa di separato dalla propria vita e dal proprio modo d’essere, in tutte le sue espressioni. Non è relegata in un ambito chiuso. Non chiede di essere ostentata, ma di essere vissuta, nella propria famiglia, nei rapporti con gli altri, nelle scelte decisive e nella quotidianità, con riserbo ma anche senza timidezze. Sperando di essere fedeli e di essere aiutati ad esserlo”.
Nella sua lunga carriera di Magistrato, cosa l’ha maggiormente colpita?
“Subito dopo la laurea ho partecipato al concorso per l’ingresso in magistratura, come molti della mia generazione. È una professione sempre auto formativa, richiede con costanza studio per esaminare le diverse questioni. Inoltre, come la ricerca e l’insegnamento, è una professione che è esercitata responsabilmente con la libertà che assicura l’assenza di vincoli gerarchici. Inoltre, lavorare come magistrato mi ha consentito di ‘mantenermi agli studi’ e di verificare in concreto l’esperienza del diritto. Come pure di avere un panorama più ampio della disciplina, il diritto ecclesiastico, che coltivavo parallelamente in Università. Ero molto giovane e ho iniziato la mia attività con le funzioni di pubblico ministero.
Più di una volta, dopo avere interrogato la persona arrestata con un colloquio molto sereno e disteso, non per questo meno incisivo, l’interrogato mi chiedeva quando sarebbe venuto il magistrato. Per l’equilibrio nelle indagini o nelle richiese in udienza, gli avvocati, con i quali vi era un rapporto di reciproca stima, qualche volta mi dicevano che questo rendeva per loro più difficile dissentire dalle richieste del pubblico ministero.
Successivamente nelle funzioni di giudice, soprattutto nel settore penale, avvertivo il peso del giudicare, del soppesare le prove. Devo molto all’insegnamento della collegialità nelle camere di consiglio ed al colloquio con i colleghi. Nella collegialità si stempera anche il rischio di valutazioni soggettive”.
Passando alla Festa della Liberazione, in cosa consiste l’attualità del 25 aprile?
“Ricordare la liberazione significa ricordare anche la tragedia della guerra, dell’occupazione militare, del contributo dato dai partigiani nel riscattare la dignità del Paese. Ricordo che all’esito del secondo conflitto mondiale la Germania – divisa in zone di occupazione – ha visto la costituzione della Repubblica Federale Tedesca sottoposta all’approvazione delle potenze vincitrici. Il nostro Paese non ha subito questa umiliazione.
Lo spirito della Liberazione non è solamente quello dei partigiani combattenti, delle ‘staffette’, talvolta ragazzi, spesso donne. Lo spirito della liberazione si è manifestato anche in quanti hanno aiutato, pure nelle istituzioni e nel mondo ecclesiastico, a salvare dalla deportazione, ad aiutare chi fosse ricercato o in una situazione di bisogno, in contesti difficili e spesso drammatici”.
Quali valori ci ha trasmesso la Liberazione?
“Spirito della liberazione era anche il radicamento culturale e la diffusione delle idee di libertà, di dignità della persona, di solidarietà nella ricostruzione istituzionale e materiale del Paese. Sono valori che si sono stati trasmessi, unitamente alla impostazione democratica delle istituzioni, in un contesto di condivisione degli stessi valori con altri Paesi, e di impegno per la loro diffusione.
Ricordo che quel clima culturale ha concorso a generare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 10 dicembre 1948, e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delle libertà fondamentali dell’uomo (CEDU), firmata dal Consiglio d’Europa nel 1950″.
La Costituzione contiene i valori della Liberazione, andrebbe riformata dopo quasi 8 decenni?
“Come tutte le costituzioni, anche quella italiana è nata per durare. La stessa Costituzione prevede la possibilità di una sua revisione e non sono mancate nel tempo modifiche, anche ampie ed incisive, come quella del Titolo V, del ruolo della autonomie territoriali e delle Regioni.
I principi fondamentali, il sistema dei diritti e delle libertà, si deve ritenere sottratto alla revisione. Le riforme potrebbero riguardare aspetti relativi al funzionamento delle istituzioni, con l’obiettivo di migliorarne il funzionamento.
Ma attenzione a non scambiare le difficoltà che derivano dall’assetto o dalla rappresentanza politica, con difficoltà da attribuire alla costituzione. Comunque, con i diritti fondamentali, va affermato che non può essere toccato il sistema democratico, quale che sia la forma di governo”.
Quale ruolo hanno avuto i cattolici nella Liberazione?
“Il contributo dei cattolici non si è espresso solamente nella lotta partigiana. Si è manifestato anche sul piano culturale. Della elaborazione, diffusione e difesa dei diritti fondamentali della persona, nella affermazione dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale, nella affermazione della democraticità delle istituzioni, nella impostazione delle autonomie e della sussidiarietà”.
Si può fare un paragone tra la ricostruzione post-bellica e quella post-pandemia?
“Le situazioni di allora e di oggi sono molto differenti. Sono mutate le condizioni, interne ed internazionali, economiche, sociali. Nel dopoguerra il Paese era letteralmente in macerie. Una contrapposizione politica e ideale profonda, non ha impedito di trovare nel dialogo convergenze di fondo, distillate nel testo della Costituzione. Anche la lotta politica successiva ha comunque consentito di trovare punti di convergenza, nell’interesse nazionale. Dopo e nonostante la sconfitta, il Paese ha assunto un ruolo di rilievo nel panorama internazionale. È significativo che l’Italia sia stata tra i Paesi fondatori delle Comunità Europee, con l’impegno di Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer. Non a caso tre statisti cattolici. Oggi le condizioni materiali, pur critiche, non sono paragonabili alla scarsità di mezzi e alla povertà diffusa del dopoguerra. Forse è da recuperare lo spirito di allora, l’impegno, la fiducia e la speranza”.
Il Papa ha detto che il sovranismo odierno usa toni da anni 30. Quali sono oggi i pericoli per la democrazia?
“Il pericolo per la democrazia non viene solamente da chi la attacca, ma anche da chi l’abbandona, da chi non ne avverte il valore. Ma la democrazia si difende anche facendola funzionare correttamente, con un buon raccordo tra governanti e governati, tra cittadini e istituzioni”.
Cosa insegna ai giovani di oggi la vittoria sui totalitarismi nella seconda guerra mondiale?
“Insegna che la libertà non è data una volta per tutte, che la dignità della persona richiede l’impegno di garantirla e difenderla, che la democrazia non è concessa, ma va vissuta e resa operante con impegno personale, nelle forme e sedi nelle quali ciascuno opera, con l’elaborazione e diffusione culturale e con l’azione personale e delle formazioni sociali. Farei anche attenzione alle nuove insidie, di un totalitarismo inavvertito e strisciante, della ideologia non imposta con la forza ma inoculata. I mezzi di persuasione collettiva sono oggi molto più potenti di quelli a disposizione del totalitarismo storico. L’antidoto è l’educazione, la conoscenza, il pensiero critico, la capacità di discostarsi dalle mode e da pensiero unico”.
Milena Castigli
Fonte: www.interris.it