L’episodio costituì uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile da parte delle truppe nazifasciste. I documenti storici e le testimonianze descrivono atti e fatti condotti con una violenza disumana da parte del 1º reggimento Flak della divisione Herman Göring e di alcuni soldati della Guardia Nazionale Repubblicana, nei luoghi occupati. Proprio nella data indicata furono massacrati, torturati e uccisi 105 persone, tra di loro dieci bambini di età dai 4 ai 12 anni, un neonato di 3 mesi (Viviano Gambineri) e cinque ragazzi dai 14 ai 17 anni.
“Sparando con ogni arma, urlando e distruggendo, gli unni di Hitler, affiancati dai traditori nostrani repubblichini, penetrano nelle case, nelle stalle e nei fienili di Vallucciole, strappano all’aperto quanti vengono trovati e sui gruppi di rastrellati viene subito aperto il fuoco e poi, con bombe incendiarie e con lanciafiamme, si appicca il fuoco ai casolari ed ai poveri corpi straziati.” (Ugo Sergio Jona)
Le atrocità commesse sul corpo del piccolo Viviano Gambineri ci raccontano una storia crudele, nascosta tra le righe dei verbali, non sempre raccontata, in cui la vita perde qualsiasi valore anche quando è appena sbocciata ed esprime la propria massima innocua purezza: “Questo bambino di sei mesi circa aveva otto ferite di arma da fuoco nel petto, il sangue sgorgava dalla bocca e dal naso. Sul lato sinistro della sua fronte c’era una grossa parte tumefatta, ma non saprei dire come fosse stata provocata la ferita” (testimonianza di Prasildo Giachi raccolta da Baxendale a Stia il 19 gennaio 1945, in Interrogatori S.I.B., pag.94).
Parlare di umanità in questa, come in altre occasioni, certamente non ha senso in quanto gli uomini hanno superato ogni limite. Non hanno eseguito solo gli ordini, hanno dato sfogo alla loro bestialità, al punto che ci chiediamo se mai siano stati perseguitati dal rimorso o rischiarati dal pentimento. I soldati che hanno trucidato il neonato non sembrano appartenere alla razza umana; eppure proprio il nostro genere pare sia spesso caratterizzato da una miseria intellettiva e morale ingiustificabili.
La brama di potere, il senso di onnipotenza rendono ciechi e violenti gli uomini, sordi a ogni forma di compassione. Forse è per questo che Charlie Chaplin nel suo celebre monologo “Il Discorso all’Umanità”, tratto dal film “Il Grande Dittatore (1940)”, dichiarava con una passione messianica “Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non voglio né governare né comandare nessuno. Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro.” Tale discorso è stato sicuramente ispirato all’attore dall’incontro con il celebre scienziato pacifista Albert Eistein, di cui condivideva la forte tensione umanitaria. Particolarmente significativi sono i seguenti passaggi perché costituiscono uno schiaffo morale all’ideologia malata dei totalitarismi in corso nel Novecento: “Milioni di uomini, donne, bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di segregare, umiliare e torturare gente innocente. A coloro che ci odiano io dico: non disperate! Perché l’avidità che ci comanda è soltanto un male passeggero, come la pochezza di uomini che temono le meraviglie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.”
Riscopriamo nelle aule scolastiche la nostra resilienza all’intolleranza attraverso il film “Il Grande Dittatore”, cogliendone gli aspetti ora delicati ora ironici, imparando i Diritti Umani attraverso forme alternative di cultura.